L’idea del conflitto lampo con le armi intelligenti fu una terribile illusione

di NICOLA LABANCA
Oggi, cento anni dopo l'avvio della prima guerra mondiale, continua a circolare una certa fiducia nelle meraviglie della tecnologia militare. Armi sempre più sofisticate ed “intelligenti” sembrano promettere ai governi risoluzioni rapide, chirurgiche, si dice indolori, delle controversie in corso. In effetti alcune tecnologie militari sono oggi sorprendenti per il cittadino comune. L'incrocio della telematica con l'informatica e con le già note tecniche guerresche sembra promettere che tutto e tutti possano essere sotto controllo, visti e inseguiti, che niente possa sfuggire. Gli specialisti da tempo ormai dicono che siamo nel pieno di una “rivoluzione (tecnologica) degli affari militari”.
Forse la storia può farci riflettere. Anche cento anni la tecnologia militare - per il tempo - sembrava avanzatissima.
Già prima che il 28 giugno 1914 a Sarajevo due semplici colpi di pistola avessero abbattuto l'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo designato erede al trono d'Austria-Ungheria e la moglie Sophie (o meglio Žophie: era ceca), le forze armate delle maggiori potenze d'Europa avevano a disposizione armi considerate per quel tempo eccezionali. Grandi artiglierie da fortezza micidiali e artiglierie campali in gran quantità. Armi individuali (fucili, moschetti) ormai equipaggiate con proiettili a polveri infumi e dotate di caricatori a ripetizione. Erano già a disposizione anche armi di cui si era fatto uso in precedenti conflitti limitati, ma di cui forse non si era colto appieno le potenzialità d'impiego: ad esempio la mitragliatrice, che poi infatti sarà detta la “regina della battaglia”. Messe insieme, queste armi avrebbero promesso campagne rapidamente vittoriose basate - si riteneva - su un enorme aumento di fuoco cui nessun esercito avrebbe potuto resistere.
L'avanzata tecnologia non aveva toccato solo la guerra terrestre. Per la guerra navale le marine non si sarebbero più battute con le antiche navi a vela e a scafo di legno. Ormai imponenti corazzate con scafi metallici, dotate di pezzi di artiglieria di potenza devastante, erano la norma. Non solo sul pelo dell'acqua ma anche sotto di esso la guerra era ormai allora possibile.
Infine, quella che sino a pochi anni prima sarebbe sembrato un sogno fantascientifico aveva iniziato ad essere realtà. La guerra nella terza dimensione, la guerra nell'aria, cominciava ad essere possibile. E non più solo con palloni aerostatici, né solo con i primi dirigibili ad armatura rigida e ad eliche, che pure già rispetto ai palloni promettevano di potersi spostare sin sopra l'avversario. Ormai, nella guerra italiana all'Impero ottomano per la conquista della Libia e nel corso delle guerre balcaniche, erano stati utilizzati anche aeroplani. Dall'aria si era quindi cominciato a osservare in profondità l'avversario e a minacciarlo dall'alto con artiglierie individuali e con bombe. Soprattutto, cosa che né i palloni aerostatici né i dirigibili potevano seriamente garantire, l'apparire dell'aviazione militare rese necessario pensare non solo alla ricognizione e alla minaccia dall'aria verso terra ma alla caccia reciproca fra aeromobili di potenze opposte.
Insomma, prima dell'estate 1914 la tecnologia militare sembrava in grado di garantire ai governi che l'avessero dichiarata una condotta bellica semplicemente impensabile ancora pochi decenni o anni prima. Sulla base dell'orgoglio di questi sviluppi tecnologici i comandi di stato maggiore e i ministeri della guerra (allora si chiamavano così: sarebbero stati definiti ministeri della difesa solo decenni più tardi) potevano promettere ai propri governi di garantire una vittoria rapida, massiccia, sicura.
Chiunque sappia qualcosa della storia della Prima guerra mondiale sa che quasi nessuna di quelle promesse poté essere mantenuta. Dopo qualche settimana di operazione e di movimenti di immense armate terrestri, la guerra si impantanò (spesso a ridotta distanza dai confini dell'anteguerra). Da guerra di movimento divenne guerra di trincea. I combattenti che avrebbero dovuto scontrarsi per terra, mare e cielo in rapidi e colossali battaglie furono costretti a difendersi infossandosi in trincee, all'inizio appena abbozzate, poi sempre più elaborate, ma pur sempre buche nel terreno, allagato d'inverno e bruciato dal sole in estate. Quella che doveva essere una guerra rapida e durare un'estate e forse un autunno devastò l'Europa, e non solo, per anni dal 1914 al 1918. Gli storici hanno parlato di una “sorpresa dei generali”.
I generali non sapevano infatti come vincere quella guerra. La loro tecnologia dovette essere ripensata. La tattica e la strategia dell'anteguerra furono stravolte. Proprio l'avanzamento tecnologico e industriale richiedeva sempre più dagli Stati e dalle società in guerra. Il numero di proiettili che in conflitti precedenti erano consumati in una campagna furono ora ingoiati in una giornata di scontri: si pensi a Verdun, ad esempio. La nuova tecnologia costrinse quindi i governi a chiedere sempre di più alle aziende produttrici, a irreggimentarne il lavoro, a spendere in armamenti. E tutto questo non più nella speranza di rompere in fronte avversario e correre alla conquista della capitale del nemico (come era scritto nei piani dell'anteguerra) ma semplicemente per tentare di logorarlo, di consumarlo.
Anche se non sembrava più in grado di consegnare la vittoria ai generali, un effetto la tecnologia militare lo ebbe: sui soldati e in genere su combattenti. Le grandi artiglierie, le mitragliatrici, gli aerei furono straordinariamente letali, più di quanto si fosse pensato. La prima guerra mondiale, che vide la mobilitazione di forse più di sessanta milioni di soldati, fece fra i nove e i dieci milioni di morti. Un'ecatombe. Una strage.
Non fu "un'inutile strage" come la definì il Papa Benedetto XV nell'estate del 1917, perché la guerra era stata scatenata da governi e sistemi di alleanza europei che volevano perseguire scopi politici ben definiti: l'Austria-Ungheria la prevalenza nei Balcani e la sopravvivenza come impero, la Germania il dominio sull'Europa, la Francia la revanche, il Regno unito la libertà dei commerci e la prevalenza su ogni altra potenza, la Russia la forza di un impero che stava declinando, l'Italia liberale il raggiungimento dell'unità nazionale con Trento e Trieste e la sua espansione come grande potenza sulla Dalmazia e i Balcani, nel Mediterraneo e sul fronte coloniale. La guerra, come sempre, era stata lanciata per obiettivi politici: obiettivi il cui raggiungimento la tecnologia militare di cui disponevano aveva erroneamente indotto gli Stati maggiori di tutt'Europa avevano promesso ai propri governi. Qui stavano le origini dell'errore e della “sorpresa dei generali”.
Chi pagò tutto questo? In generale la pagarono l'Europa e assieme ad essa tutto il mondo del tempo (si combatterono potenze che erano anche imperi coloniali che - pur in misura diversa - trascinarono nel gorgo anche i rispettivi sudditi dell'Oltremare), flagellati per anni. La guerra fu vinta quando le potenze che l'avevano scatenata furono esaurite e logorate, nella produzione, nella società e sul campo di battaglia. La Russia zarista, una fra le potenze più grandi ma anche più deboli, si sfasciò lasciando il posto ad una rivoluzione borghese e poi sovietica.
Di certo pagarono quella fiducia nella tecnologia militare i nove milioni di morti, i feriti (forse tre volte tanti), le vedove, gli orfani, la società civile che fu gettata nel baratro. Anche chi sopravvisse rimase toccato da quella esperienza. Oggi, a cento anni di distanza, sappiamo che la storia non si ripete mai due volte. E le condizioni che portarono alla Prima guerra mondiale non sono riproponibili.
Ma il centenario potrebbe quanto meno essere utile nel suggerire di diffidare dalle promesse per cui le guerre e le tecnologie militari possano mai risolvere le controversie fra gli Stati e fra i popoli.
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