Lidia Ravera: «Fate come madame Brigitte Macron che non teme la vecchiaia»

La scrittrice arrivata al successo con “Porci con le ali” ha pubblicato il suo “Terzo tempo” con Bompiani
Di Federica Gregori

di FEDERICA GREGORI

Ha esordito con un libro che è ormai di culto, ma non esita a definirlo una «cagatina di mosca». Non si erge su pulpiti da intellettuale, ma continua a battersi sul campo contro stereotipi e luoghi comuni, duri a morire in una società sempre più incapace di registrare i suoi mutamenti più profondi. È autrice, giornalista, sceneggiatrice, e dal 2013 anche assessore alla Cultura e alle Politiche giovanili della Regione Lazio. Lidia Ravera è tornata nelle librerie con il suo nuovo romanzo, il trentesimo, “Il terzo tempo” (Bompiani, pagg. 495, euro 18), a raccontare la “pazza idea” di Costanza, personaggio bizzarro, spiazzante, spesso contraddittorio, dominato da un «orrore per la vecchiaia» eppure vivido e determinato a continuare a essere artefice del proprio presente e futuro, anche se più breve.

Perché Costanza ha 64 anni: non è vecchia «ma presto lo sarà». E quando eredita dal padre un suggestivo ex convento non ci pensa su due volte: andrà alla ricerca degli antichi compagni per far rivivere la comune che ha segnato il loro affacciarsi alla vita adulta. Un romanzo denso, che gronda vitalità da ogni pagina e che ha al centro l’invecchiare, lo scorrere del tempo, ma anche la capacità di rinnovarsi, il guardare al passato «senza cospargerlo di zucchero» e il rivendicare il diritto di scegliere con chi condividere quell'ultimo tratto di strada. Nella ferma convinzione che la vita valga la pena di essere vissuta sempre, in tutti i suoi tempi.

Quanto c'è di Lidia Ravera nella sua protagonista Costanza? Si sente anche lei un'«antropologa del declino», affetta dalla malattia del tempo?

«La risposta, purtroppo, è sì. Ho iniziato intorno ai 12 anni e non ho mai più smesso di pensarci. Proprio perché continuo a credere che il concetto di mortalità sia assurdo e ingiusto. Costanza per altri versi è più simpatica di me. Da un lato è presente in lei, forte, quest'ossessione. Dall'altro è giovane, continua a cercare la felicità facendo progetti. Uno di questi è tornare a vivere in una comune come negli anni ’70. Perché pensa che la terza età sia come l'adolescenza, anche se al tempo stesso vorrebbe licenziare l'adolescente che la abita. In questo sì, siamo abbastanza simili».

L'idea della comune agée, dell'«ospizio alternativo» o come malignamente la dipinge il figlio Matteo, la “Woodstock geriatrica” che Costanza vuole mettere in piedi, come le è venuta?

«Scrivo romanzi e invento situazioni. Tratto di un periodo della vita che è come una seconda, terminale infanzia. Il corpo cambia, come accade per gli adolescenti. Hai bisogno di conferme, di esserci, d'innamorarti. E spesso questi cambiamenti non si riescono a gestire da soli. Ci si sente minacciati, così affiora un bisogno di stare tra i propri simili. A quel punto la condivisione diventa importante, quasi politica».

Ha anche aperto un blog dove offre spunti all'«invecchiare senza essere vecchi».

«L'aspettativa di vita è cresciuta, oggi quando arrivano i sessant'anni abbiamo davanti altri trent'anni da vivere. I figli del boom demografico, i nati dal 1946 al 1964 come Costanza e come me, sono la maggioranza degli italiani. È una trasformazione della società importante, ma nessuno sembra voler dare il giusto peso a un cambiamento così profondo. Il blog (sottotitolato “Prontuario per abitare il tempo senza permettergli di fare di noi quello che vuole” ndr.) vorrebbe dare il suo contributo a queste persone, per affrontare la faticosa carriera che è vivere».

In queste ore agli onori delle cronache c'è un'altra donna di 64 anni, che ha come compagno un nemmeno quarantenne: Brigitte Macron potrebbe diventare la futura premiére dame di Francia. Iniziano a saltare i parametri o è l'eccezione che conferma la regola?

«C'è già il tam tam dei “social blabla” che, per spiegare una simile situazione per loro evidentemente incomprensibile, definiscono Macron gay: una cosa che trovo offensiva. Si procede sempre per stereotipi. Anche per questo il mio romanzo è dedicato a tutte le donne e a tutti gli uomini che hanno paura d'invecchiare, alle più libere e ai più originali».

Che personaggio è il marito Dom? All'inizio pare quasi succube della personalità di Costanza, poi si rivela un carattere molto più complesso.

«I miei personaggi sono tutti complessi ed è una cosa di cui vado piuttosto fiera. Potrebbe sembrare succube ma solo per chi segue lo stereotipo secondo cui a una donna forte dovrebbe corrispondere un compagno succube. Al contrario, Dom è un uomo molto positivo e molto, molto più forte degli altri».

Il tema della scrittura affiora nella figura di Matteo, in crisi creativa dopo due romanzi “a segno”. Lei ha esordito con un libro-bomba, “Porci con le ali”: ha avuto mai paura di non essere all'altezza di quel memorabile debutto?

«Sempre e mai. Anche perché ritengo sia una cagatina di mosca rispetto a quello che ho scritto dopo. Certo ha dentro una capacità, l'intuizione di aver colto lo spirito del tempo. E sono orgogliosa se in tanti lo ricordano 40 anni dopo, come di aver raggiunto tre milioni attingendo al grande serbatoio dei non lettori. Ma dopo, i miei romanzi sono stati seguiti da tutt’altro tipo di lettori, cui sono molto affezionata. Non mi sono mai posta il problema di rifare quel libro, non ne ho mai avuto paura e continuo a cercare la verità attraverso le parole».

Che tipo di scrittrice è: naturale, scrive ogni giorno o più “tecnica”, imponendosi una disciplina?

«Per me non è concepibile la vita senza scrivere. Tutto acquisisce senso: quando lo faccio ho una disposizione allegra, eccitata, perpetua. Se scrivo ore di filato? Dipende da vari fattori, non ultimo la stanchezza. Non faccio fatica a scrivere: certo, come ogni romanziere mi trovo davanti a mille crisi, ma sono positive. Segno di salute, di serietà. A volte m'impongo di fermarmi. In genere scrivo in ferie, alla mattina presto o alla sera tardi. Così ho fatto per “Il terzo tempo”, scritto nei mesi di ferie degli ultimi due anni e in tutti i ritagli di tempo possibili. Perché di vite ne ho due: quella prima e quella dopo la politica».

Da quattro anni è assessore alla Cultura della Regione Lazio. Si è sentita un'aliena oltrepassando la barricata?

«Ho ricevuto la proposta dal presidente Nicola Zingaretti che mi chiedeva di occuparmi di quello di cui mi sono occupata da sempre: di cultura. Ho dovuto imparare, capire cos'era una delibera, come funzionano le leggi. Sono arrivata lì piena d'idee, io che nel modo delle idee ho sempre vissuto, e subito mi sono resa conto che il passo cruciale, poi, è di realizzarle e di quanto sia difficile farlo: in questo senso è stata una bella lezione d'umiltà. Per me è come se il romanzo di formazione della mia vita continui anche passata la soglia dei 60 anni».

Qual'è stato il primo provvedimento che ha preso?

«Quello di rifinanziare le biblioteche del Lazio. Che sono 300. Ho trovato i soldi per questi luoghi così importanti, e dopo ho fatto proiettare film del cinema indipendente. Credo che tutti possano capire l'arte, se un film è buono o no, ma spesso non si hanno le possibilità o il budget per farlo. Ho anche stretto un accordo con l'Opera di Roma e oggi c'è un tir-palcoscenico che va nei paesi, si apre e offre spettacoli d'opera gratuitamente».

Non ha avuto paura di dover accantonare il suo lavoro di scrittrice?

«Ho detto subito a Zingaretti che non avrei smesso. Se dopo aver accettato l'incarico non avessi potuto più scrivere sarei morta, avrei rinunciato. Invece ho fatto il mio lavoro, mi sono sforzata d'imparare. E quando tra un anno il mio compito sarà concluso, ritornerò a scrivere: quella è la mia natura. Scrivo perché mi piace farlo, e mi sembra importante farlo. Credo sia fondamentale ritrovarsi sul nocciolo delle cose: l'invecchiare, i figli. Il dolce rumore della vita».

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