Lina Galli, la voce dolente dell’Istria lasciata senza perdere il desiderio della vita

In “Nata per il mistero” un’antologia delle migliori liriche della poetessa

TRIESTE Non è storia nuova, talvolta la popolarità o la fama di un poeta, passa anche attraverso la sua collocazione geografica, prima che storica, passa attraverso la fortuna, la facilità di diffusione. Lina Galli avrebbe indubbiamente meritato una maggiore notorietà nel tempo, la sua epoca l‘ha riconosciuta per finire a poco a poco dimenticata. Probabilmente le cose sarebbero andate diversamente se fosse nata a Firenze. O a Milano, per sottolineare come la scrittrice e poetessa d’origine istriana, nata a Parenzo nel 1899 e morta a Trieste nel 1993, non abbia nulla da invidiare a poetesse come Ada Negri o Antonia Pozzi, che hanno conosciuto altra fama. Anzi talvolta leggendo Pozzi, nata tredici anni dopo Lina Galli, non è difficile riscontrare assonanze con l’autrice triestina. D’altra parte vivevano lo stesso clima politico e letterario, entrambe partono, in qualche modo, dal crepuscolarismo. Certo Pozzi muore giovane e suicida, si fa mito, e tra i migliori amici vantava Vittorio Sereni, colui che farà il bello e il cattivo tempo della poesia italiana a venire.

Lina Galli è stata dimenticata, ma non del tutto. La sua opera è sicuramente presente fino alla generazione dei nati negli anni ’70, ma l’impressione è che poi si sia persa nell’esubero dei tanti poeti triestini, alcuni immeritatamente considerati minori. Dimenticata si diceva, ma non completamente. Nel febbraio del 2020, durante le celebrazioni al Senato per il Giorno del Ricordo in memoria di tutte le vittime delle foibe, Giuseppe Conte ha evidenziato quanto i discendenti degli esuli istriani, per lo più i letterati e gli intellettuali, abbiano innalzato la loro voce contro l’indifferenza alla loro questione, e nel farlo ha citato Nelinda Milani, Enzo Bettiza, Fulvio Tomizza, Claudio Magris e anche lei, Lina Galli.

La poetessa triestina è stata infatti tra i principali “cantori” dell’esodo. L’ha fatto con la sua vita e con l’opera. Ha scritto una dozzina di raccolte in versi, ma consistente è anche la sua produzione in prosa, soprattutto di carattere storico. Per non parlare della quantità di articoli ed elzeviri ideati per diverse testate, da “Il Mondo” al “Piccolo”, oltre ad aver preso parte del gruppo che fece risorgere a Trieste la rivista “Pagine Istriane”. Ma appunto è difficile rintracciare i suoi libri, se non in siti librai dediti all’antiquariato e al vintage. Per il ventennale della sua morte Risolo Editore ci ha fatto dono di un’antologia, curata da Giorgio Baroni, edita nel 2013, che meriterebbe una ristampa. Si intitola “Nata per il mistero. Poesie”, un florilegio dei migliori versi dell’autrice, tratti dalle diverse raccolte.

Un’antologica che ci dà quindi la possibilità di seguire l’arte e il pensiero della poetessa, dai primi testi degli anni ’30, la “Città” edita da Guanda nel 1938, fino all’ultima raccolta “Il tempo perduto” del 1986.

È importante guardare a Lina Galli nella sua opera omnia, se pur nella sintesi che questa antologica ci restituisce. E lo è per diverse ragioni. Certo Galli è stata spesso etichettata come la poetessa dell’esodo, colei che ha cantato la guerra e la perdita, il dolore di un popolo. Temi che esplodono in almeno tre delle sue raccolte, “Giorni di guerra” (1950), “Tramortito mondo” (1953) e Notti sull’Istria (1958). Raccolte in cui Galli guarda alla guerra e alle rovine della Venezia Giulia e dell’Istria, ma dove riesce anche a sollevarsi dalla tragedia di un’unica razza per ampliare il raggio a “Un tempo senza pietà”, cosicché l’Istria oppressa diviene metafora di un mondo in sfacelo.

Sono versi di altissima tensione morale, fino a che il dolore non si allenta ed è il paesaggio mitologico delle sue terre ad essere recuperato, una scenografia di poetica contemplazione, almeno in quelle “Notti” istriane in cui ad essere rievocata è soprattutto l’adolescenza: “O mia giovinezza marina” scrive “dalla finestra spalancata sul porto / m’assali coll’odore del libeccio / e scuoti gli anni impietrati /sotto il cumulo delle macerie /amare d’esilio”.

Lina Galli tuttavia non è solo la poetessa dell’esodo, sarà infatti nelle raccolte successive che si evidenzierà (e forse con uno stile più risolto) una forte introspezione psicologica, sempre caratterizzata da un’intensa tensione morale, sulla precarietà della vita, sullo spreco di delegarla a una dimensione inautentica, sulla solitudine, sulla fede, sui nuovi linguaggi dei mass media, su un paesaggio (come in “L’agosto dei monti”) che non è coloristico ma psicologico. Insomma c’è anche questo in Lina Galli, una biografia che conta non solo i tragici eventi del passato. Le ultime raccolte ne danno prova e ci conducono a una esistenza più intima in cui i soggetti hanno a che fare con l’amore, con il calore dell’umanità, il desiderio e con il senso di perdita o mancanza. Basti un esempio, “Figlio, urgi dall’ombra” (dalla silloge “Giorni d’amore”) in cui Galli ci restituisce in poesia l’inappagato e mancato istinto materno, forse la più bella delle sue liriche. Per dire quanto Lina Galli abbia saputo sì, farsi voce di un popolo, quello istriano, ma si sia fatta eco anche di dimensioni esistenziali che esulano dai dati storici.

Pure l’amore per lei non è stato facile, con un matrimonio che ha condotto quasi alla tragedia. Era una donna molto dinamica. Uno dei volti più significativi tra i docenti triestini (insegnava a San Giacomo), era attiva alla Fidapa come organizzatrice di eventi culturali, esempio e stimolo di molte giovani intellettuali triestine. La si poteva incontrare spesso nei tanti poli culturali della città. Al Circolo della Cultura e delle Arti e soprattutto alla Società Artistico Letteraria, accanto al suo fondatore, Marcello Fraulini, alle amiche scrittrici Nora Baldi e Nike Clama (Vittoria Clama), ad artisti come Livio Rosignano. Ma le sue conoscenze andavano al di là di Trieste. Per quella vena religiosa che riguardò anche la sua poesia, strinse amicizia con Diego Valeri e come l’autore veneto anche in Galli, oltre la storia, la poesia ci restituisce una profonda fede nella natura e nella vita. —

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