L’incredibile corsa di Drago e il Maestro

Il volume di Losi sui suoi miti Munari e Mannucci
Ci sono eventi sportivi che escono dalla cronaca per entrare nel mito. E diventano leggenda. Il Rally di Montecarlo del 1972, vinto – contro ogni pronostico - da Sandro Munari e Mario Mannucci con la loro Lancia Fulvia HF, è uno di questi.


Quella leggenda rivive grazie a
“L’incredibile corsa” (Edizioni Ephedis, pagg. 192, 23 euro)
, il libro appassionante e appassionato scritto da
Mattia Losi
, oggi giornalista del Sole 24 Ore ma allora, nel ’72, piccolo, entusiasta tifoso che nascondeva sotto il suo banco di quinta elementare i ritagli dei giornali che parlavano dei suoi eroi, il Drago (Sandro Munari, il pilota di quella Fulvia HF) e il Maestro (Mario Mannucci, il navigatore, che purtroppo oggi non c’è più, scomparso nel dicembre 2011 a Monfalcone dove era andato a vivere alla fine degli anni Settanta con la moglie Ariella, che era appunto originaria della città dei cantieri, e il figlio Manuel).


«Mario era Mario. Sandro era Sandro. Un equilibrio perfetto». Sandro Munari e Mario Mannucci. E la Fulvia HF. Anche se delle auto non ti sei mai appassionato, se all’epoca avevi comunque almeno otto/dieci anni, quei nomi non li ha mai dimenticati. È come la formazione dell’Inter di Herrera: Sarti, Burgnich, Facchetti… Sandro Munari e Mario Mannucci, il Drago e il Maestro. «Il Drago era il migliore perché era il Drago – scrive Losi -. Una miscela irripetibile di caratteristiche innate e di lavoro fino allo sfinimento che il Dio dei motori aveva concentrato in una sola persona: Sandro Munari da Cavarzere». E poi il Maestro, «e anche nel suo caso il soprannome diceva tutto. Anche lui era il migliore, anche lui era una miscela inarrivabile di classe e talento, di precisione e di capacità di programmazione».


E poi la Fulvia. Munari «la guidava accarezzandone i comandi». Ma nel ’72 era ormai vecchietta, tanto che la catena di montaggio per la sua produzione avrebbe dovuto chiudere di lì a pochi mesi. E di fronte alle Alpine e alle Porsche non aveva nessuna chance di fare sua quell’edizione del “Monte”, come gli appassionati chiamavano il Rally di Montecarlo. Anche se per Munari era «la Fulvia più potente di sempre». E lo avrebbe dimostrato.


Sì, la storia ebbe tutto un altro svolgimento rispetto a quanto pronosticato alla vigilia dalle Cassandre dei giornali specializzati e fu il miracolo di un team, di un gruppo di uomini straordinari. Perché il Drago e il Maestro erano su quell’auto con il numero 14 sulle fiancate e la scritta “Lancia Italia” bella grande sul cofano (“che tutti vedano chi siamo e da dove arriviamo”), ma poi dietro le quinte e in strada c’erano il direttore sportivo Cesare Florio (uno che continuò a vincere anche quando sbarcò in Formula 1 e perfino nella motonautica e nella nautica) o l’ingegner Gianni Tonti, che, stando a capo della squadra tecnica, di “Monte” ne ha vinti in totale cinque, e poi tre campionati del mondo rally, e ha partecipato al progetto Stratos. E con loro l’altro ds Daniele Audetto e tutti gli uomini della squadra corse e anche Ariella, la moglie di Mario Mannucci, che ai rally faceva la vivandiera, ma mica solo del Drago e del Maestro, no, un panino o un caffè non li negava a nessuno («Tanto non è che con i miei panini andavano veloci come te» ha continuato a rispondere a Munari quando la “sgridava” per quei rifornimenti regalati “al nemico”).


E allora questo libro è l’avventura fantastica di un gruppo fantastico in una corsa fantastica. Iniziata in Andalusia e chiusa tra i tornanti del Turini prima di planare nel Principato con il miglior tempo assoluto, e 10’50” di distacco sull’equipaggio secondo classificato, Larrousse-Perramond, su Porsche. Mattia Losi era un bambino di 10 anni, all’epoca, che sognava a occhi aperti ascoltando la radio o cercando gli articoli sul giornale di papà. Eppure racconta l’incredibile corsa come se allora fosse stato seduto su un improbabile sedile posteriore di quell’auto. Il lungo trasferimento dalla Spagna, il sud della Francia, l’arrivo a Montecarlo, le Alpi, le prove speciali, pioggia, neve, che pneumatici usiamo?, tormente, il sole, le decisioni così terribilmente filofrancesi della giuria con quei minuti di penalizzazione…


Sapevano, nel team Lancia, «che per arrivare primi nel Principato serviva un’impresa straordinaria, e forse anche qualcosa di più». E la Lancia, questa auto «nobile dentro, in modo naturale», l’impresa la fece. E anche qualcosa di più. «Un tema, signor maestro?» protestò allora il piccolo Mattia a scuola: «Solo un tema? Qui ci vorrebbe un libro». Oggi, Mattia Losi lo ha scritto, quel libro: «non figlio della storia, ma dei sentimenti», promette all’inizio. Promessa mantenuta.


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