L’infanticida Maria Farrar inaugura il nuovo “Ridottino”

TRIESTE Germania anni Venti, nel carcere di Meissen l’infanticida Maria Farrar, una giovane e sgraziata servetta che ha subìto violenza, rea di aver commesso il peggiore dei crimini, è uccisa dalle altre detenute. Alla protagonista dell’efferato fatto di sangue Bertold Brecht dedica nel 1927 una delle sue più toccanti e allo stesso tempo crude poesie.
In cui, verso dopo verso, dalla voce di “Maria Farrar, nata in aprile, senza segni particolari, minorenne, rachitica e orfana’, srotola con freddo ritmo da interrogatorio la notte che vede la giovane donna partorire e poi sopprimere l’indesiderata creatura in una gelida latrina.
Alla rigida società tedesca che alla sventurata non concede alcuna attenuante, Brecht risponde con gli empatici versi: «Voi, che partorite comode in un letto e il vostro grembo chiamate “benedetto”, contro i deboli o i reietti non scagliate l’anatema. Fu grande il suo peccato, ma grande la sua pena. Di grazia, quindi, non vogliate sdegnarvi: ogni creatura ha bisogno dell’aiuto degli altri».
A inaugurare questa sera alle 21 il “Ridottino” del teatro Miela, la nuova sala con 50 posti cucita ad hoc per spettacoli adatti a un ascolto e a una dimensione raccolta, la pièce “La Maria Farrar” di Manlio Marinelli, rilettura in chiave mediterraneo-barocca dell’opera brechtiana, ambientata in una metropoli italiana dei giorni nostri. A dare voce e fisicità alla Maria contemporanea, l’attrice triestina Sara Alzetta, che nella performance infonde una variegata nuance emotiva della breve vita da emarginata della giovane donna.
Anzi, le voci, poiché lo spettacolo - che rientra nella rassegna di prosa On/Off e andrà in replica con lo stesso orario anche domani alle 16 e mercoledì alle 19 - per una sola attrice, in verità, oltre a quella della protagonista, porta in scena una ricca tavolozza di personaggi, interpretati dalla carismatica Alzetta, che ne colora le identità con le cadenze regionali.
C’è quindi la versione terzo millennio dell’infanticida Maria, che nella rilettura firmata da Marinelli diventa una ragazza del proletariato torinese, ma dal copione affiorano anche un prete dalla cantilena veneta, una Madonna con inflessione modenese e persino un sorcio dalla caratteristica parlata romanesca.
Uno spettacolo crudo e emotivamente coinvolgente, capace di regalare a tratti momenti di tagliente tragicomicità, che mettono in risalto le grandi capacità interpretativa della Alzetta. L’attrice, che ha studiato al Piccolo di Milano e all’Accademia d’Arte drammatica Silvio D’Amico, porta nella sua città «una performance polifonica di un’ora, c’è una sola attrice, io, e una sedia. Da un paio d’anni replico questo spettacolo. A Palermo in due diverse stagioni, poiché la prima era andata molto bene».
Due sceneggiature per raccontare la sventurata vita di un’infanticida, senza dimenticare il messaggio fondamentale, vale a dire il valore dell’empatia contrapposto al giudizio a priori. Ovvero che «ogni creatura ha bisogno dell’aiuto degli altri», come conclude nella sua poesia Bertold Brecht.
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