L’insegnamento di Zola è attuale sui rapporti tra politica e finanza

di ANTONIO CALABRÒ «Il denaro, il letame da cui nasceva l'umanità di domani». E «avvelenatore e distruttore, fermento di ogni vegetazione sociale». Sono le ultime pagine de "Il denaro" di Émile Zola,...
Di Antonio Calabrò
Businessman walking across stacks of coins forming money bar chart
Businessman walking across stacks of coins forming money bar chart

di ANTONIO CALABRÒ

«Il denaro, il letame da cui nasceva l'umanità di domani». E «avvelenatore e distruttore, fermento di ogni vegetazione sociale». Sono le ultime pagine de "Il denaro" di Émile Zola, appena ripubblicato da Sellerio (pagg. 616, euro 16,00): un poderoso romanzo di 125 anni fa che ha una straordinaria forza d'attualità. Perché il suo protagonista, Aristide Saccard, speculatore finanziario, è un abile e cinico avventuriero ma anche un visionario imprenditore. E le tensioni per l'accumulazione di ricchezza si legano, ieri come oggi, a una controversa ma potente passione di costruire mondi nuovi. Anime torbide. E occhi avidi di futuro. Quel denaro è catena. E motore.

Zola ne sa mettere appunto in scena tutte le ambivalenze, descrivendo con grande realismo gli ambienti finanziari della Parigi del Secondo Impero, seconda metà dell'Ottocento, sotto il dominio di Napoleone III, "il piccolo", Affari, speculazioni, argent, denaro appunto. Da accumulare e consumare, con vitalismo esagerato.

L'idea di Saccard è di creare una Banque Universelle. E di lanciarsi nel finanziamento delle ferrovie collegate all'appena costruito Canale di Suez. L'odore dei soldi attira partners spregiudicati. E anima un mondo che ruota attorno a Palazzo Brogniart, la Borsa parigina, affollato da banchieri, parlamentari corrotti, giornalisti di pochi scrupoli, donne ambiziose in cerca d'amanti ricchi, rivoluzionari da salotto. Tutto un giro che si ritroverà, con caratteristiche analoghe, nella Wall Street d'un secolo dopo e in altre città in cui il "fare soldi per mezzo di soldi" corromperà mercati e anime. Finanza rapace. Nel racconto di una vera e propria giungla morale, Zola è maestro. E come i veri scrittori, si rivela assolutamente contemporaneo.

Rileggere Zola è dunque utile in tempi di crescente riflessione critica sugli assetti economici, sui rapporti di potere tra finanza e politica, sulle ideologie ma anche sulle regole e sulle pratiche dell'economia di mercato. C'è un'abbondante letteratura sul tema. Tra cui segnalare "Ripensare il capitalismo", un'antologia di saggi curata per Laterza (pagg. 365, euro 24,00) da Mariana Mazzucato (insegna all'University College di Londra) e da Michael Jacobs, economista, consulente dell'ex primo ministro inglese Gordon Brown. L'idea di fondo è che "un sistema economico più innovativo, sostenibile e inclusivo è possibile, ma richiede cambiamenti radicali nella nostra maniera di interpretare il capitalismo e di concepire le politiche pubbliche". Il mercato e le culture della competizione pretendono regole chiare, trasparenza nei rapporti economici, più giusti equilibri sociali. Un'etica degli affari. Buone leggi. E migliori rapporti tra "democrazia e capitalismo" (ne scrivono efficacemente Joseph Stiglitz e Colin Crouch, il sofisticato analista critico della "post democrazia").

Un ruolo cardine ce l'ha l'innovazione. Che chiede investimenti pubblici forti in ricerca e formazione del capitale umano, ma anche un'idea lunga del tempo, più ambiziosa e generosa delle passioni "short terms" della speculazione finanziaria e meno schiava della "dittatura" dei profitti immediati.

Sono temi, tra etica e buona economia, che ricorrono anche nelle pagine di "I battiti della mente" di Stefano Paleari, pubblicate da Francesco Brioschi Editore (pagg 110, euro 14,00). Ingegnere, professore di Sistemi Finanziari all'università di Bergamo ma anche gestore di imprese (presidente di Human Technopole a Milano e uno dei tre commissari di Alitalia), Paleari scrive di competizione e collaborazione, individualismo imprenditoriale e "invadenza delle istituzioni pubbliche", riforme inattuate, "diritti acquisiti asimmetrici" (e giovani sacrificati dagli egoismi generazionali e corporativi), "società che garantisca il più possibile pari opportunità", produttività carente, innovazione da rilanciare, regole per fare funzionare meglio il mercato. Riflessioni critiche sulle politiche pubbliche, tipiche di un civil servant di ampia esperienza, dunque. E stimoli alle responsabilità d'una migliore classe dirigente.

Su quali cardini rilanciare l'economia? Sull'industria di qualità, per esempio. Come spiega Luigi Serio, economista alla Cattolica di Milano, in "Medie eccellenti - Le imprese italiane nella competizione internazionale", edito da Guerini (pagg. 208, euro 21,50), con prefazione di Alessandro Baroncelli e contributi di Gabriele Barbaresco, Patrizia Cappelletti e Giovanni Lanzone (brillanti le sue pagine su "qualità e bellezza nella storia delle imprese", con occhi attenti al design e alla qualità, come strumenti d'una più robusta competitività).

Serio insiste sulle capacità delle manifatture del "made in Italy" di conquistare spazi crescenti nelle nicchie globali ad alto valore aggiunto e su una sorta di "modello italiano di management" che lega flessibilità e innovazione, "bello e ben fatto" e sistemi di valore centrati su un eccellente capitale umano, radici nei territori e sguardo aperto sui mercati del mondo. Medie imprese di successo, dunque. Pure in tempi difficili di trasformazioni "digital". Anche perché al centro d'una rete di relazioni, tra produzione e servizi hi tech, che ne esalta le competenze. Un buon modo di costruire futuro.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo