L’italiano sta bene gli italiani meno
Vera Gheno e la lingua ai tempi della Rete

«Ad opera del linguaggio è sorta una comunanza, una comunanza del sapere e quindi del volere mai prima esistita». Così scriveva Konrad Lorenz padre della moderna etologica scientifica a proposito del valore “sociale” del linguaggio di ogni specie animale. Mai come nell’era dei social questo assioma si può applicare nel bene e nel male al linguaggio della variegata “fauna” della rete.
Ma come e quanto il modo di comunicare in internet e in particolare nelle community virtuali sta incidendo nella nostra lingua scritta e parlata? A dare una serie di risposte a questo quesito ci ha pensato un interessante saggio di
Vera Gheno
dal titolo
“Social-linguistica. Italiano e italiani dei social network” (Franco Cesati Editore)
. Docente universitaria e responsabile Twitter per l’Accademia della Crusca l’autrice analizza l’era dei social rilevando dinamiche, evoluzioni, tendenze del linguaggio in rete.
Se ogni lingua è un corpo vivo che rispecchia l’anatomia culturale dei parlanti e degli scriventi, mode, strumenti e influenze interne ed esterne diventano quasi sempre motori di cambiamenti sia temporanei che profondi. Ma nell’era dei social la lingua di Dante è o no, come dice qualcuno, sotto attacco, colpita e depauperata da modi spicci e sgrammaticati, da stupidi neologismi, da mode anglofone e pittogrammi in forma di cartoon? «Risponderò – spiega Vera Gheno – dicendo quello che il celebre linguista Tullio de Mauro ha continuato a ripetere fino alla sua scomparsa: l'italiano sta bene ed è in salute, casomai bisogna lavorare sulle competenze degli italiani! Sono vent’anni – continua - che osservo e analizzo quello che succede alla lingua italiana su internet e posso tranquillamente affermare che i fenomeni e le trasformazioni che oggi attraverso le community virtuali osserviamo nell’italiano sono iniziati ben prima che i social apparissero, semplicemente i social li hanno resi molto visibili perché hanno dato libero sfogo a tutto un settore di scrittura informale che prima non esisteva nel nostro paese. “Se lo sapevo non venivo” nella scrittura formale è inaccettabile mentre nella scrittura informale non viene per nulla stigmatizzato».
Secondo l’autrice, negli anni ’70 grazie all’avvento della tv e ai suoi processi di diffusione educativa l’italiano è diventato veramente la lingua degli italiani, ricevendo però successivamente, come un’onda lunga, le pressioni e le modificazioni dei parlanti colti ed incolti e delle loro dissimili competenze linguistiche (basse o alte). Non a caso i linguisti hanno dovuto a un certo punto codificare l’italiano “neo-standard”, cioè l'italiano parlato realmente dagli italiani (ben diverso da quello insegnato a scuola), in cui, solo per fare un esempio, sono quasi spariti passato remoto e futuro anteriore.
«L'italiano – spiega Vera Gheno - si sta dimostrando una lingua abbastanza forte che continua a essere usata per scopi alti, scientifici e umanistici, quindi in grado di reggere. Tuttavia mostra una serie di elementi di fragilità che sono strettamente legati alle competenze cognitive, culturali degli stessi italiani».
Le famose statistiche Istat di qualche anno fa non lasciano scampo: un italiano su due non legge neppure un libro all'anno e una famiglia su 10 non ha neanche un libro in casa. «Quello che vediamo nell’italiano – sottolinea - è una specie di specchio riflesso delle grosse debolezze culturali strutturali che abbiamo. Come tutte le lingue anche la nostra deve essere curata con il contributo individuale di tutti. Se non ci piace una parola, dobbiamo iniziare a non usarla più, se una forma verbale è scorretta impariamo ad avere più attenzione per la grammatica».
Di particolare interesse nel saggio la parte dedicata alle interazioni in rete, specie quando la comunicazione va in crisi o addirittura “deraglia”. Tra “shitstorms” (tempeste di letame), flames (fiammate), passando per le forche caudine degli “haters” (gli odiatori) e le provocazioni dei “trolls”, fino ad arrivare alle varie forme di “lapidazione virtuale”, il saggio traccia una sorta di mappa per non perdere l'orientamento e difendersi in caso di attacco.
«Secondo me – spiega Vera Gheno - gli “haters” in realtà non esistono, ma esiste la parte cattiva intrinseca a ogni essere umano che nella rete spesso emerge complice “l’astrazione”. In pratica quando si è on line l'effetto lontananza dato dalla rete ci toglie alcuni filtri e ci rende molto più facile odiare una persona che non ha un volto. Spesso infatti i messaggi degli haters sono rivolti proprio ad “un loro” indistinto, ad una massa informe. «È necessario – conclude la studiosa - che tutti diventiamo mediatori, cioè tutti ci impegniamo a fare qualcosa per migliorare l’ecologia della rete. I social ci aiutano fornendoci alcuni strumenti di tutela, ma sono gli individui che li usano a determinarne la qualità. Per andare veramente alla radice del problema non serve “bannare”, punire o bloccare, ma stare tutti in rete in maniera più virtuosa ».
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