ll caso Svevo: la coscienza di scrivere
A oltre un secolo dalla pubblicazione del capolavoro con protagonista Zeno non sfuma l’interesse in Italia e all’estero per le opere del romanziere triestino. Ne tratta l’ultimo numero della rivista Aghios

Probabilmente nessuno avrebbe potuto prevederlo, nemmeno Bazlen e Montale, i due complici che avevano fatto scoppiare (con gran fracasso, secondo le parole di Bobi) il “caso Svevo”. Ma a distanza di oltre un secolo dalla pubblicazione della Coscienza di Zeno non sfuma l’interesse per il romanziere triestino e per la sua creatura più nota.
Da noi, anche grazie al traino delle celebrazioni del centenario con il loro corollario di iniziative, pièce teatrali, maratone di lettura, pubblicazione di nuove risorse web.
Ma anche all’estero. La popolarità dello scrittore non cala. A Londra, per dire, giornali come l’”Observer” e “The Guardian” invitano a leggere Pirandello e Svevo e nelle librerie della capitale inglese tra gli scrittori italiani tradotti, oltre ai contemporanei Magris e Pahor, c’è Svevo. Per gli editori la Coscienza è un longseller, per gli studiosi il suo autore è un campo di ricerca in fase di continua espansione che ha ancora molte cose da dire.
Oggi Svevo viene indagato su problemi minori in base a criteri di lettura che una volta non esistevano. Siamo lontani anni luce da quel “quanto scrive male” che gli veniva riservato dai soloni della letteratura ancora negli anni Cinquanta. La fortuna di Svevo prende avvio piano piano a partire dalla prima versione teatrale, firmata da Tullio Kezich, del 1964, seguita due anni dopo da una versione per la televisione.
Zeno è invecchiato bene, il terzo romanzo di Svevo «è ancora fresco, intrigante provocatorio e non accusa stanchezze di sorta», scrive Riccardo Cepach nell’ultimo numero di Aghios, rivista di studi sveviani diretta da Elvio Guagnini e Giuseppe A. Camerino (Campanotto editore, 126 pagg., 15 euro), che si propone di trovare nuove piste nell’analisi dell’opera di Svevo.
E a proposito di primizie, un saggio di Beatrice Stasi nel numero di Aghios appena uscito, il sedicesimo (sesto della nuova serie), pubblica per la prima volta una lettera di Svevo a Nino Frank ritrovata nel fondo del giornalista e intellettuale pugliese conservato alla Bibliotheque National di Parigi.
Frank, inviato culturale del “Corriere della Sera” sulle rive della Senna, dopo aver scritto un articolo sulla tardiva scoperta del romanziere triestino, lo incontra a Parigi in occasione del prestigioso banchetto offerto in suo onore dal Pen club. Su Les Nouvelles Litteraires ne fa un ritratto così così: «un sessantenne che cammina adagio, la testa massiccia, gli occhi pieni di vivacità e “malignità”».
Frank non padroneggia molto bene la lingua francese, perché, come fa subito notare la moglie di Benjamin Cremieux, uno dei primi estimatori di Svevo, lo scrittore aveva lo sguardo sì malizioso, ma sicuramente non maligno. Svevo non se la prende.
Nella lettera datata Villa Veneziani 24 marzo 1928 e inviata a Frank, Svevo ringrazia per l’articolo e glissa sul resto. Dal carteggio tra Svevo e Frank, che comprende anche due lettere di Frank conservate nel Museo sveviano, emergono due personaggi, il giornalista svedese Tage Aurell e lo scrittore sovietico Ilja Erenburg, interessanti, nota Stasi, per mettere meglio a fuoco la rete di relazioni che si era creata dopo il lancio del caso Svevo. Il centenario della Coscienza, si diceva.
Un lungo anno in cui tra le varie iniziative si annovera anche il nuovo adattamento per il teatro, curato da Paolo Valerio per lo stabile triestino, ultimo di una serie di trasposizioni di cui si occupa un saggio di Paolo Quazzolo. Svevo, ricorda lo studioso, non li vedeva di buon occhio: «sono la sintesi di una sintesi», aveva chiosato Svevo in un articolo pubblicato sull’Indipendente, e Quazzolo ipotizza che se qualcuno all’epoca avesse proposto di portare la Coscienza a teatro, avrebbe rifiutato. Fatto sta che, a partire dagli anni Sessanta, di adattamenti per il teatro se ne annoverano diversi.
Al 1961, a riprova del periodo di ascesa di interesse per le sue opere, risale la prima traduzione in sloveno della Coscienza. Martina Ožbot continua la sua riflessione, iniziata nel numero precedente di Aghios, sulla difficoltà incontrata dai traduttori sloveni nel rendere il termine “coscienza”, proprio per «le compagini lessicali diverse» che contraddistinguono lo sloveno. Il primo, Silvester Škerl, aveva risolto il problema, almeno nel titolo, semplicemente con “Zeno Cosini”; la seconda traduzione, ad opera di Gašper Malej e che risale al 2018 - “Zenova zavest” – sceglie il termine coscienza nell’accezione di “consapevolezza”.
Interessante infine l’analisi condotta da Luca Mendrino sui manuali di scuola superiore a proposito della Prefazione della Coscienza, quella in cui il dottor S. spiega ai lettori che pubblica “per vendetta” le riflessioni del suo paziente. Nella selezione di ventinove manuali operata da Mendrino, tutti i commenti dedicano almeno un paragrafo all’accusa mossa a Svevo di scrivere male, anche se l’analisi linguistica non rientra fra gli esercizi proposti agli studenti.
A dimostrazione dell’attenzione degli autori alle ultime tendenze critiche, c’è chi consegna a Svevo la patente di precursore dell’autofiction. Nota di cronaca conclusiva, la Prefazione è stata scelta nel 2009 come prova per la maturità, unica apparizione finora di Svevo all’esame.—
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