Lo Cascio entra nell’anima di Pasolini, a teatro

Un debutto molto atteso, nell’ambito del progetto “Viva Pasolini!”: il 25 novembre al Teatro San Giorgio di Udine, prima assoluta de “Il sole e gli sguardi”, di e con Luigi Lo Cascio, dove «la poesia di Pier Paolo Pasolini prende la forma di un possibile autoritratto». Il celebre attore, autore e regista ritorna a lavorare in Friuli nell’anno delle celebrazioni del quarantesimo anniversario della morte del grande poeta e cineasta.
«Una grande emozione visitare il Centro Studi Pasolini a Casarsa, su invito di Angela Felice - confessa Lo Cascio -, perché quando si dice Pasolini, si dice Friuli. Certo si dice anche Roma, Bologna. Ma la prima cosa che viene in mente è ciò da cui tutto nasce: qui il suo rapporto con la terra, con la madre, con certi suoni. Qui ha trovato la spinta a volersi misurare nel mondo come poeta».
Lo spettacolo (prima il 25, repliche fino al 5 dicembre), una coproduzione Css/Teatro Metastasio, Lo Cascio lo sta provando in questi giorni tra il San Giorgio e il Palamostre. C’è molta curiosità, ma lui svela solo i contorni: ci sono i disegni di Nicola Console, le scene e i costumi di Alice Magnano, due artisti con i quali Luigi ha condiviso molti spettacoli (“Nella tana”, “La caccia”, “Otello”). «Nicola sta in scena con me - spiega - e creerà le immagini in un processo di formazione simultaneo alla parola pronunciata in scena». E poi la musica di Andrea Rocca, «che sta componendo durante le prove». Così la messa in forma procede tra parola, immagine e musica, con il disegno del suono di Mauro Forte e il disegno luci di Alberto Bevilacqua.
Com’è nato il titolo di questo lavoro?
«Esce dal frammento di un verso di Pasolini, in cui si parla molto del coraggio di esporsi. La poesia, che per Pasolini è un diario sofferto e personale, si dà già tuttavia come parola teatrale, perché anche l’intimità è subito offerta allo sguardo altrui. Il sole appare come potenza disvelatrice di verità, a volte crudele. E poi gli sguardi: non si deve arretrare dinnanzi alla possibilità che il nostro mostrarci a noi stessi cada anche sotto gli occhi degli altri».
Come si è avvicinato a Pasolini?
«Non essendo stato Pasolini tra gli autori della mia formazione, ho sempre rimandato il momento di una conoscenza più approfondita della sua opera oceanica, dalla quale si rischia di restare schiacciati. Erano capitati accostamenti involontari in due film: “I cento passi” e “La Meglio Gioventù” di Marco Tullio Giordana. Poi è arrivata l’occasione».
In che modo?
«Dopo aver riscritto l’Otello in siciliano, un paio di anni fa, ho voluto rivedere un film fatto a più mani, “Capriccio all’italiana”, di cui Pasolini scrisse l’episodio “Che cosa sono le nuvole”, dove rilegge l’Otello a partire da burattini interpretati da Totò e Ninetto Davoli. Una visione illuminante: ho provato grande ammirazione per la limpida e profonda libertà con cui Pasolini rileggeva il mito d’Otello. Era il momento di buttarsi dentro questa materia eccezionale ed enorme».
Perché la scelta dalla poesia?
«La poesia attraversa tutta la sua opera: comincia a scrivere versi a sette anni. Di poesia sono fatti il suo cinema, il teatro. Il mondo lirico di Pasolini è il suo laboratorio, il diario intimo, il luogo dove esercita pensiero sul mondo, su se stesso e la propria arte. Dunque, anche il luogo di una spontanea autobiografia».
Il tratto saliente di questo “autoritratto”?
«È solo uno dei possibili autoritratti, cosa a cui il poeta si dedicava anche come pittore. Ne è uscito un Pasolini più intimo, fragile, nel rapporto con se stesso e la propria opera. Un diario intimo di pensieri, sogni, desideri».
Progetti per il cinema?
«Per ora sono impegnato con il teatro: qui e poi al Piccolo di Milano con ‘Questa sera si recita a soggetto’ per la regia di Tiezzi. Il cinema è rimandato fino a dopo maggio».
Questo lavoro su Pasolini che cosa le ha dato?
«Come persona, lo vedo in maniera più chiara come modello rispetto a quello che lui chiama chiarezza del cuore, la capacità di essere spietati con se stessi, lo stare in una condizione di irrequietezza e inquietudine, cioè di movimento. Come attore, poiché recito poesie anche senza leggio, cosa nuova per me, la sfida è riuscire a rimanere lettore, pur recitando a memoria».
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