Lo storico Elio Apih studiava il passato per costruire il futuro

di MARINA CATTARUZZA
Sono passati dieci anni dalla morte di Elio Apih, avvenuta dopo breve malattia il 31 marzo 2005 all'ospedale di Cattinara di Trieste, alla presenza dei familiari più stretti.
Elio Apih è stato uno storico insigne, un grande innovatore e un esempio di impegno civile e di salda adesione ai principi democratici. Tali qualità si ritrovano in coloro che Apih aveva eletto a propri maestri: Gaetano Salvemini da una parte e Benedetto Croce dall'altra.
Fondamentali per la formazione storiografica e civile di Apih furono pure Nino Valeri e Carlo Schiffrer, che funsero, rispettivamente, da relatore e correlatore della sua tesi di laurea, discussa all'ateneo triestino nel 1947. Il tema affrontato dal giovane storico per il lavoro di testi riguardava "Le diverse tendenze del socialismo europeo e le vicende del socialismo triestino". La storia del socialismo, con particolare riguardo alle correnti dell'austro-marxismo e alla loro declinazione nel socialismo triestino, rimarrà per tutta la vita uno dei principali interessi di ricerca di Elio Apih.
Apih venne a contatto con Gaetano Salvemini nell'immediato dopoguerra, quando il giovane studioso si cimentava con la figura di Giovanni Giolitti. L'occasione per il contatto con Salvemini venne, però, già da un contributo di Apih su «”L'Unità” e il problema adriatico» del 1951, che Salvemini definiva, in una lunga e cordiale lettera di apprezzamento «il meglio che sia stato scritto su quell'avventura».
Elio Apih, a sua volta, ricordava nei termini seguenti il suo incontro con Salvemini, in un contributo dai risvolti autobiografici, pubblicato nel 1957 in "Trieste, Rivista Politica Giuliana" a ricordo del maestro: «Occupandomi della storia di Trieste, m'imbattei ben presto nei libri di Gaetano Salvemini e nel singolare fascino che da essi emana. Erano gli anni in cui si compiva il destino della Venezia Giulia e in cui, insieme ad essa, si dissolvevano molte ingenue illusioni mie di vivere in una società pienamente civile. Allora, la lettura delle pagine storiche e polemiche che Salvemini scrisse tra il 1914 e il 1920, quando, per la prima volta, la lotta politica nelle nostre terre assunse toni violenti ed incivili, mi fece sentire vivissimo il fascino della Sua personalità, della Sua coscienza morale e civile, decisa a non lasciarsi corrompere da alcuno di quei compromessi che, normalmente, costituiscono il sottofondo della vita».
Nella sua splendida "Ultima lezione", dedicata alla storia di Trieste nel contesto europeo, tenuta in un'aula della vecchia sede della Facoltà di Lettere e Filosofia il 15 maggio 1992, Apih formulava nei termini seguenti il proprio debito intellettuale nei confronti dello storicismo crociano: da Benedetto Croce «ho imparato che la conoscenza storica è “conoscenza dell'universale nel particolare”, ho imparato che capire un fatto vuol dire rendersi conto di tutta la grandiosa complessità e diversità di motivi che lo determinano, che un fatto esiste perché appartiene a tutta un'ampia rete di altri fatti e di cose, con cui ha connessione vicina o lontana, e che in qualche modo riassume e condensa».
Per Elio Apih la peculiarità dell'attività storica si manifestava nella formulazione del “giudizio” su un problema specifico: attraverso il giudizio, lo storico perveniva ad una conoscenza che trascendeva la mole delle informazioni presenti nelle fonti e andava quindi al di là di una mera analisi filologica dell'apparato documentario raccolto.
«La storia è una forma di conoscenza - questo è un altro assioma che non sono mai riuscito a mettere in dubbio», enunciava Apih sempre nella stessa occasione, «conoscenza che si avvale della logica dello svolgimento, come altre forme di conoscenza si avvalgono di altre logiche, e la storia capisce la realtà, una realtà, perché riesce a coglierne il processo di formazione».
Sarebbe velleitario voler sintetizzare in un intervento così breve il contributo fornito da Elio Apih alla conoscenza della storia di Trieste e della Venezia Giulia. Oltre al già citato filone di ricerca sul socialismo triestino vorrei però ricordare almeno “Italia, Fascismo e Antifascismo nella Venezia Giulia (1918-1943)”, uscito per l'editore Laterza nel 1966, e “Trieste-La storia politica e sociale”, pubblicata sempre da Laterza nella collana "Storia delle città italiane" nel 1988.
Ambedue rimangono a tutt'oggi opere di riferimento per chiunque si accosti alla storia di Trieste da un'ottica non localistica, ma cerchi di comprendere le vicende tormentate della nostra città come manifestazione della più ampia crisi europea, colta da Elio Apih in primo luogo come crisi di carattere etico-culturale. Dove, nuovamente, appare manifesta l'influenza di Benedetto Croce sulle categorie interpretative dello storico triestino.
Sul piano civile, l'impegno di Elio Apih si manifestò costantemente come sforzo per far attecchire a Trieste una cultura compiutamente democratica.
A ciò va ricondotta la sua collaborazione alla rivista "Trieste", l'iniziale impegno all'Istituto per la storia del movimento di liberazione, da cui si allontanò poi a causa di un orientamento accentuatamente ideologico che non condivideva, la partecipazione alla commissione del Museo della Risiera di San Sabba, l'attività nell'ambito dell'Università Popolare e, infine, il contributo da egli fornito ai lavori della Commissione storico-culturale italo-slovena.
La personalità di Elio Apih non mancava di lasciare un segno in chiunque lo avvicinasse. Molti studenti - oramai in età matura - ricordano ancora il fascino della sua oratoria nelle lezioni tenute alla facoltà di Lettere e Filosofia, dove era in grado di far comprendere a giovani alle prime armi, usciti appena dal liceo, l'impatto delle "forze storiche" su una condizione umana colta nel suo incessante divenire e analizzata, di volta in volta, alla luce di una contingenza storica singolare.
Mi sovviene, al riguardo, come Apih, per le sue lezioni, non preparasse mai un testo scritto e riuscisse a parlare a braccio per tre quarti d'ora senza alcuna incertezza lessicale o concettuale, basandosi esclusivamente su quattro o cinque righe di appunti, annotati sul retro di fogli di ricette mediche, divise in due con il tagliacarte (per risparmiare!).
Apih era dotato di un umorismo caustico e fulminante, addolcito dall'affabilità dei modi. La sua signorile modestia rifletteva una schiva ma solida fiducia nelle proprie capacità critiche, unita a uno scarso gusto per il potere che, come amava affermare, finisce inevitabilmente per asservire coloro che lo perseguono.
Nell'ambiente degli storici triestini, Elio Apih rappresentava un po' il centro di quel reticolo di amicizie e frequentazioni che gravitavano attorno alla Deputazione di Storia Patria per la Venezia Giulia e all'Istituto per la Storia del Risorgimento.
Ne facevano parte, tra gli altri, Giulio Cervani, Giorgio Negrelli, Fulvio Salimbeni, Arduino Agnelli, Ugo Cova, Pierpaolo Dorsi, Carlo Ghisalberti, Roberto Pavanello, Ennio Maserati, Almerigo Apollonio.
In tale milieu si ritrovavano alcune delle migliori qualità della tradizione culturale triestina: il senso della misura, l'ironia, il garbo, il gusto della conversazione, uniti ad una solida e puntigliosa preparazione filologica. Un po' alla volta questo circolo informale andò sfilacciandosi per la scomparsa di alcuni, problemi di salute di altri o, semplicemente, per il passare del tempo. Credo però che tutti quelli che parteciparono agli incontri e alle serate conviviali promossi nell'ambito dell'attività delle due istituzioni più sopra menzionate, ne conservino un ricordo struggente e un malinconico rimpianto.
È un'esigenza fondamentale di ogni comunità ricordare le personalità che hanno contribuito a elaborarne il sistema di valori e ad affinarne la consapevolezza dei propri caratteri peculiari.
Con tale constatazione esprimo l'auspicio che la città di Trieste, attraverso le sue istituzioni e con le modalità da essa ritenute più opportune, vorrà ricordare Elio Apih nel decennale della scomparsa non solo come uno dei suoi maggiori storici, che tanto ha contribuito a farci comprendere attraverso quali vicende siamo diventati ciò che siamo, ma anche come uno di quei "giusti" che hanno ben operato perché si compisse il passaggio da una società profondamente lacerata dai drammi delle guerre mondiali e dalle illusioni totalitarie ad una collettività che si riconosce ormai in larghissima maggioranza nei valori della democrazia, tolleranza, giustizia sociale e rispetto per l'altro.
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