Lojodice, una storia fra prostituzione e potere

Oggi e domani a Monfalcone la signora del teatro italiano propone la pièce “La professione della signora Warren”
Di Margherita Reguitti

MONFALCONE. A distanza di 25 anni la signora del teatro italiano Giuliana Lojodice torna oggi e domani (20.45) sul palco del comunale di Monfalcone con "La professione della signora Warren" di George Bernard Shaw, regia di Giancarlo Sepe, che ne firma anche la traduzione. Nel 1990 il pubblico l'aveva applaudita accanto all'indimenticato compagno Aroldo Tieri in "Le bugie con le gambe corte", di Eduardo De Filippo, sempre per la regia di Giancarlo Sepe. "Una commedia sgradevole", così definisce Sepe il capolavoro di Shaw. Un testo eticamente affilato contro l'ipocrisia e il potere del denaro, tanto osteggiato nella società vittoriana inglese da essere in scena solo 20 anni dopo la scrittura.

Signora Lojodice perché una commedia "sgradevole"?

I temi della prostituzione e del potere socialmente riconosciuto che ne deriva, questa è infatti la professione della signora Warren, sono all'origine di questa ingiusta dimenticanza. Ma credo che il pubblico abbia bisogno di testi forti sui quali riflettere. La commedia si svolge all'insegna del sesso e dell'opportunismo da parte degli uomini verso le donne, ancora viste come uno strumento al loro servizio; un testo femminista ante litteram.

Quale l'attualità di questo lavoro scritto cent’anni fa?

La commedia ha un linguaggio moderno e mette in evidenza la denuncia di Shaw, molto attuale anche oggi, contro l'ipocrisia. Un processo che si avvale delle personalità di due donne: la signora Warren e la figlia Vivie, interpretata da Federica Stefanelli. La madre rappresenta il capitalismo e il conservatorismo, contrapposti alla ribellione della gioventù. La figlia non tollera di sottomettersi e sceglie di escludere la madre dalla sua vita quando scopre da dove arriva la ricchezza nella quale ha vissuto.

Che cosa l'ha convinta nella scelta di questo testo?

Mi ha convinto il carattere forte al limite della violenza, rappresentato anche da un linguaggio volgare, in un momento della mia vita professionale nel quale ho abbandonato i ruoli di donna per bene. Mi sono scoperta la capacità di interpretare ruoli che non avrei mai pensato di fare e che sempre più mi vengono proposti. Questo mi ha fatto realizzare che ho ancora delle carte da giocare e ne sono contenta.

Come giudica la salute del teatro italiano?

Non buona, trovo che nessuno si stia occupando con serietà del teatro, stanno solo facendo leggine allucinanti, stringendo la corda attorno alle compagnie private, impedendo loro di lavorare.

Cosa fare?

Dare ai giovani delle opportunità, non lasciarli soli e senza guide, dare spazio alle proposte valide non solo agli spettacolini televisivi e non sciupare il nostro talento, fatto di forza e tradizione.

Nel 1964 lei condusse Sanremo, seguirà il festival?

Certo, anche se la mia esperienza accanto a Mike Buongiorno fu triste: lui voleva che facessi la valletta e io lo invitai a rivolgersi altrove anche se avevo solo 24 anni e lui era già un personaggio. Litigammo ed ebbi la soddisfazione, la serata delle premiazioni, di essere sola sul palco: l'aveva capita!

Quanto le manca Aroldo Tieri?

Tantissimo, attori come lui non ce ne sono più. Molti sono bravi, ad esempio Beppe Pambieri è una persona deliziosa ed è molto bravo nel suo ruolo di socio della signora Warren. Ma solo con Aroldo mi sentivo di potermi appoggiare.

Con chi vorrebbe lavorare?

Carlo Cecchi è il mio mito; so che è molto difficile lavorare con lui, ma chissà, forse in futuro...

Sul palco anche Pino Tufillaro, Fabrizio Nevola, e Roberto Tesconi, scene e costumi di Carlo De Marino, luci di Gerardo Buzzanca.

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