Lojze Spacal al confino fotografa in Basilicata l’albero della Majenca

Spedito ad Accettura, in provincia di Matera, per sospette attività antifasciste, l’artista triestino cominciò come falegname ed ebanista, suscitando l’invidia dei colleghi, con tanto di ricorsi 

Il personaggio



Cosa possono avere in comune il territorio di San Dorligo della Valle e il piccolo borgo basilicatese di Accettura? La risposta, seppur a sorpresa, è semplice: l'albero del Maggio. Il tradizionale “Maj” che viene innalzato ogni anno a Dolina, durante la celebre Majenca, è da anni parte integrante anche della cultura del comune di 1800 abitanti situato tra i monti in provincia di Matera. E la storia diventa ancora più interessante se teniamo conto del fatto che la prima testimonianza fotografica dell'albero di Accettura reca la firma di un triestino.

Lojze Spacal, assegnato al confino di polizia per due anni dalla commissione speciale della Prefettura di Trieste per sospette attività antifasciste, giunse ad Accettura il 7 febbraio 1931. Non ancora ventiquattrenne, “Spazzale”, come venne italianizzato nei rapporti della Polizia, era un falegname triestino di madrelingua slovena, assunto a 17 anni come disegnatore nell’arsenale di Trieste. Finì al confino perché in questo periodo avrebbe avuto contatti con gli antifascisti Fran Marušic, Zvonimir Miloš e Ferdo Bidovec (tutti membri del Tigr, fucilati assieme ad Alojzij Valencic a Basovizza nel 1930) e avrebbe anche partecipato all’attentato alla sede del giornale Il Popolo di Trieste. I sospetti gli costarono l'allontanamento dalla propria terra di origine e il conseguente confino nella lontana Basilicata. Qui, grazie alla sua abilità con le mani, trovò quasi subito lavoro nella bottega del falegname Rocco Defina. Il suo primissimo lavoro? Una bara.

Un giorno si recò alla falegnameria un giovane contadino del posto. Non senza difficoltà spiegò che gli serviva una piccola cassa da morto per la figlioletta, di appena quattro anni, da poco spirata. Pur ammettendo subito di necessitare di un lavoro semplice, “quattro assi, insomma”, in quanto non abbiente, il contadino si ritrovò il giorno dopo tra le mani una splendida bara, tutta intarsiata e decorata con fiori e colombe bianche. Lo stupore dell'agricoltore di Accettura fu enorme e quel gioiello artistico fu a tutti gli effetti il biglietto da visita delle enormi doti del confinato antifascista venuto dalla sperduta Trieste.

«In quel periodo - scriveva lo storico e giornalista basilicatese Angelo Labbate - secondo Totonno Defina, figlio di Rocco, i falegnami del paese non erano pratici di ebanisteria; erano piuttosto mastri d’ascia, bottai, costruttori di porte e finestre e di rozze suppellettili. Per prima cosa il confinato Spacal costruì un banco di lavoro tecnologicamente avanzato, come mai ne avevamo visto, sul quale montò un ingegnoso tornio». Nel laboratorio si costruiscono i primi mobili impiallacciati e verniciati. Ancora oggi esiste una cristalliera di mogano, costruita dal giovane confinato.

La novità destò all'epoca qualche gelosia tra i compaesani, tanto che tale Giuliano Miraglia inviò al prefetto un ricorso, piuttosto sgrammaticato, conservato ancora oggi nell’Archivio di Stato di Matera: «Un confinante di nome Luigi Spazzarri (sic) di Trieste ebanista a aperta una bottega da falegname unita a Rocco Defino e ci a levato molto lavoro a fatto una mobilia alla levatrice Romano più di tremila lire più all’ufficiale postale un altro lavoro di circa duemila lire e lavora tutti i giorni ed io con otto persone sulle spalle sto pagando la ricchezza mobile dal 1918 e con tante tasse comunale e altre tasse e sto senza lavoro che siamo anche in molti falegnami prego la S.V. di provvedere a mandarlo a qualche altra parte perché lui e ben pagato dal nostro Governo…».

Immediata la risposta dei carabinieri: «Il confinato politico non risulta faccia alcuna concorrenza al reclamante Miraglia Giuliano (che) si è indotto a reclamare per fatto che questi si rifiutò di lavorare nella sua bottega. Non si ritiene proporre il trasferimento del prenominato né si ritiene togliergli il sussidio in quanto il lavoro non è continuativo». In un’altra informativa, si legge poi che Spacal «serba regolare condotta politica e non ha dato mai luogo a rimarchi sul suo conto».

Dai ricordi dei paesani più vecchi, raccolti dal Labbate, è emerso un altro aneddoto curioso. Dopo un’abbondante nevicata, Spacal fece un grande pupazzo, somigliantissimo al Duce, tanto che i paesani rimasero a bocca aperta di fronte alla perfezione della scultura. Anche il podestà e il segretario politico locale del Fascio, invece che diffidarlo, si congratularono con lui non capendo le intenzioni di Spacal, che aspettava con gioia di vedere l'effige di neve di Mussolini sciogliersi, come si sarebbe dovuto sciogliere il Partito nazionale fascista.

La Basilicata, come ammise lo stesso Spacal, fu la terra da cui ebbe inizio la sua “storia pittorica”. Per questo fu sempre grato ad Accettura. Ma al paese che lo accolse a braccia aperte, permettendogli questo suo sviluppo artistico, Lojze - ribattezzato da alcuni paesani il “Carlo Levi di Accettura”, prendendo spunto dal confino di Levi nella vicina Aliano - ha lasciato, inconsapevolmente, un testimonianza enorme. Quella foto in bianconero realizzata con la sua Laica che ritrae l'albero del maggio, simbolo della festa popolare che si tiene ogni anno nei giorni di Pentecoste in occasione dei festeggiamenti per il patrono San Giuliano. Una festosa Majenca in salsa basilicatese. —

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