«L’Onegin di Cajkovskij? Una sfida»
Il direttore d’orchestra Fabrizio Maria Carminati parla dell’opera con cui venerdì debutterà al Verdi

TRIESTE. L'intimismo profondo e struggente di una grande opera russa nell'allestimento del Teatro dell'Opera di Sofia, lo sguardo dell'est Europa nella regia di Vera Petrova e la ricerca del dettaglio nella lettura musicale dell'apprezzatissimo direttore Fabrizio Maria Carminati. Così venerdì 17 novembre si aprirà la nuova stagione lirica del Teatro Verdi di Trieste, con l'Evgenij Onegin di Petr Ilijč Čajkovskij.
Il romanzo di Puškin è stato per il compositore un colpo di fulmine, appassionante tanto per l'ingenua fiducia nell'amore della giovane Tatjana, che affida a una lettera il suo trasporto per l'affascinante Evgenij, quanto per la fatale incapacità del destinatario di credere in un legame duraturo, debolezza nella quale Čajkovskij aveva riconosciuto la propria stessa difficoltà di vivere e anche solo desiderare un rapporto di coppia da perfetta famiglia borghese. Di quest'opera Čajkovskij amava la profondità poetica, la ricchezza lirica, la semplice umanità. Per essa non immaginava grandi cantanti, ma interpreti espressivi.
Aveva voluto che la prima nel 1879 fosse affidata a voci di giovani cantanti e così sarà anche nello spettacolo in scena a Trieste, dove nel primo cast Valentina Mastrangelo canterà nel ruolo dell’introspettiva Tatjana, Anastasia Boldyreva in quello della più spensierata sorella Olga, Catalin Toropoc nella parte di Onegin e Tigran Ohanyan in quello di Lenskij, l’amico tradito a morte. Le scene sono di Alexander Kostyuchenko, i costumi di Steve Almerighi.
Carminati ritorna a Trieste dopo i successi in Rigoletto e Tosca delle stagioni passate, per debuttare stavolta con un titolo inedito in una carriera dedicata quasi esclusivamente all’approfondimento del repertorio italiano.
«Ho accettato la sfida proprio per questo», spiega il direttore. «Di Čajkovskij avevo frequentato il repertorio sinfonico, ma mai l’opera. L’ho studiata con grande attenzione e vi ho ritrovato elementi della scrittura sinfonica del compositore, come anche tanti riferimenti al repertorio italiano nel modo di portare le voci, nel lirismo, valorizzato dalla cantabilità della lingua russa. Alla fine mi sono trovato in qualche modo “a casa”. Sono stato molto rigoroso sugli ordini di partitura, l’agogica, il fraseggio. Čajkovskij indicava sempre ogni cosa in modo meticoloso, segnava i metronomi con molta chiarezza. Nei cantanti, in prevalenza provenienti da Russia e Bulgaria, ho trovato inizialmente una certa apprensione, perchè facevo cose alle quali non erano abituati, anche a causa di una tradizione spesso legata all’allargamento dei tempi, ma poi hanno abbracciato totalmente il mio approccio. Questa bella esperienza conferma quanto la questione dei repertori sia una pregiudizio sorpassato. Gli artisti sono per loro natura poliedrici: i cliches li ghettizzano nelle abitudini e nei repertori».
Čajkovskij immaginava l'Onegin come un'opera da camera.
«Il camerismo si percepisce nell’attenzione ai personaggi, ognuno dei quali è scolpito nel marmo con un carattere molto evidente e sottolineato musicalmente con temi che ricorrono nel corso dell’opera. Si parla di amore, tradimento, amicizia, sentimenti introspettivi che il compositore esprime con la massima tensione. I colori dell’orchestra sono variegati e il marchio dello stile così incisivo che bastano poche note per riconoscerlo».
La regista ha messo in scena la vicenda di Onegin trattandola come fosse un sogno e accompagnando il concetto con alcuni versi del mistico persiano Gialal al-Din Rumi: “Il tuo compito non è quello di cercare l’amore, ma solo di trovare le barriere che hai costruito dentro di te contro di esso.” Come si tradurrà sul palco?
«Lavoro per la prima volta con questa regista, che ha dimostrato grande padronanza dei meccanismi dell’opera e della geografia del palcoscenico. E’ stata capace di trasmettere carica e intenzione a tutti i personaggi, entrando nello spirito, nel carattere, nel modo di muoversi di ognuno. Visivamente sarà un allestimento classico, nel quale saremo immersi nel mondo russo».
La chiave di volta dell’Onegin è la lettera di Tatjana. Che rapporto ha lei con questo mezzo ormai “antico”?
«Nelle nuove forme di comunicazione rimane immutato il desiderio dell’attesa, ad esempio dell’sms di una persona cara. Ieri si aspettava con ansia la lettera della fidanzata, oggi la sua mail o il messaggio. Il supporto cambia, ma fa vivere il medesimo sentimento».
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