L’umanità saggia di Altan filosofeggia seduta sul water

“Sono stufo di vivacchiare” - “Muoricchia, allora”. Cosa dice e pensa la gente comune di questa Italia che non va e non si sa dove stia andando? O meglio, quali tendenze, paure, adattamenti,...
Di Annalisa Perini

“Sono stufo di vivacchiare” - “Muoricchia, allora”. Cosa dice e pensa la gente comune di questa Italia che non va e non si sa dove stia andando? O meglio, quali tendenze, paure, adattamenti, prepotenze e umori, con ironia e arguta analisi, nel suo mondo di vignette che però è uno specchio del nostro, ne ha colto Altan? “Colpi di coda”, uscito nei giorni scorsi in libreria per Gallucci Editore (232 pagine, 13 euro), raccoglie oltre 200 delle vignette satiriche, apparse negli anni scorsi su Repubblica e L’Espresso, dell’autore, originario di Treviso, che ha pubblicato libri per bambini e adulti (venti i titoli per Gallucci) e che nel 1975 ha iniziato a collaborare con “Linus”, realizzando inoltre decine di episodi animati per la tv. In “Colpi di coda” Francesco Tullio Altan in ogni vignetta accorda poche, fulminanti parole a volti e corpi immortalati, coi i loro colori - talvolta sgargianti, talvolta trasudanti pseudo rigore o miseria, economica o umana - in uno spazio bianco, su cui si stagliano alcune figure solitarie che si alternano a incontri, tra generi uguali e diversi, generazioni uguali o differenti, in rapidi duetti, piccoli duelli, parole che si completano, oppongono, chiosano.

I personaggi di Altan fermano istanti del marasma quotidiano, in uffici, Palazzi, strade, nell’intimità domestica davanti ai fornelli o sui divani, o anche, spesso, al gabinetto, dove si soffre di “ripetute crisi di spread”, quando per “la massima trasparenza urge un water di vetro” e non è più ora di “piangersi addosso, ma di farcela sotto”. O davanti a un immaginario orizzonte, che non a caso non si vede, davanti a un baratro, di cui bisogna “rinforzare l’orlo” o su cui non resta che “godersi il panorama”. Nel rallentamento offerto da quelle immagini, e che raccoglie quelle battute fulminanti, i personaggi si fermano, e assieme a loro ci si ferma a riflettere, che male non fa, in un mondo in cui “ormai non solo si parla a vanvera, ma si pensa a vanvera”. E ci si ferma a sorridere, anche se non c’è molto da ridere. Ma autoironia, guai sennò. Parafrasando, “è ora di smetterla di piangersi addosso, e di iniziare ad autoprendersi bonariamente per i fondelli”.

Il microcosmo del quotidiano si interseca al macro della società, ai suoi bisogni, effetti e difetti, su questo stivale che traballa, scivola e inciampa. E tentando di stare in equilibrio c'è chi schiva, chi abbozza, chi fa il camaleonte, chi si vaccina, già da piccolo, al disincanto. In “Piccoli disoccupati” il bambino dice: “Mio babbo mi ha ridotto la paghetta”, e la bambina gli risponde: “Beato! Il mio mi ha messo in mobilità” e una piccola risponde al padre: “Chi sei tu, il web?”. E che dire dell’amore? “Mi ami?”, chiede lui a lei, per sentirsi dire: “Vorrei, ma non ci sono risorse”. Un’Italia in cui vanno in crisi anche i “leccapiedi”, perché non si trova più un sedere da leccare che valga la pena, mondo di slot machine in cui si è schiavi del “voto d’azzardo”, ma si sorride, appunto, di fronte ai colpi sapienti di matita di Altan, lì per raccontare i colpi di coda di “un’Italia degli ultimi tempi, depressa dalla crisi economica e tentata dalle nuove sirene del Palazzo. Un Paese dove anche l’amore e la famiglia sono intrisi di amarezza e auto-ironica disperazione”. Ma dove, se ci si sente smarriti, “si può sempre provare a chiamarsi da soli al cellulare, per vedere se ci si ritrova”.

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