L’utopia di Ronconi porta in scena auto, camion e un piccolo Piper

Mentre “Utopia” si rappresenta a Parigi (al Parc Floreal di Vincennes per il Festival d'Automne), «il 2 novembre 1975 si diffonde la notizia dell'uccisione di Pier Paolo Pasolini. Facciamo un minuto di silenzio prima della nostra ultima rappresentazione» scrive la regista e autrice Ida Bassignano, scomparsa improvvisamente venerdì 20 dicembre, a pochi giorni dall'uscita di “L’utopia di Luca Ronconi” (Ianieri, pagg. 128, euro 15), il suo libro dedicato a quello storico spettacolo. Bassignano fu allora assistente regista di Ronconi, continuando a farlo nel 1981 per “L'uccellino azzurro” di Metterlinck e, alla Scala, per “Opera” di Luciano Berio, prima di firmare allestimenti in proprio. «Concludiamo le repliche e partiamo. Finisce 'Utopia’, ma finisce anche un'epoca: una fine che verrà definitivamente consolidata con l'assassinio di Moro tre anni dopo - conclude Bassignano -. Non finisce però Ronconi, oramai riconosciuto genio teatrale, che prosegue la sua ricerca prima con il Laboratorio di Prato, poi al riparo nelle Istituzioni degli Stabili di Roma e Torino, per approdare infine stabilmente al Piccolo di Milano».
“Utopia”, presentata prima alla Biennale di Venezia e poi in prima nazionale a Prato il 25 settembre 1975, era uno spettacolo costruito su cinque commedie di Aristofane, rileggendo le quali reinventa quel suo spirito paradossale, critico e provocatorio verso i difetti e le storture degli uomini e soprattutto della società del proprio tempo, portando istanze, aspetti, realtà dei primi anni '70 in una sorta di sfilata lungo una strada, come il corteo di una manifestazione che chiede cambiamenti sperando in una società migliore. Il tutto con un impegno e una creatività in grande, come senza limiti, rivoluzionaria, dopo la rottura degli schemi tradizionali con il suo “Orlando furioso” del 1969. Così fanno parte dello spettacolo, di questa “Utopia” in tutti i sensi, del fare e ideologica, assieme a 33 attori e vari arredi (compresi 25 lettini da ospedale con ruote), sei automobili, un pulmino, un camion e persino un Piper, un piccolo aereo, che scorrevano lungo i 60 metri di una strada-spazio scenico, larga una decina, con gli spettatori seduti in tribune ai due lati.
Insomma, una vera avventura artistica e produttiva, che segnò un momento apicale e di non ritorno, in anni in cui la contestazione civile, la ribellione giovanile e operaia stava cambiando e, in alcune frange, prendendo la via clandestina della violenza e delle armi. Di questo lavoro e dello spettacolo, perse le copie di un documentario del fratelli Frazzi, a parte varie foto e spezzoni di un filmato di una parta della prova generale molto rovinato e dal suono incomprensibile, non è rimasto nulla.
Il libro di ricordi e testimonianza in prima persona di questa signora delle nostre scene, laureata Torino nel 1965, formatasi all'estero e nella cantina d'avanguardia del Beat 72 a Roma prima del'incontro con Ronconi, poi raffinata regista in proprio in teatro, ma anche molto per radio Rai, e infine scrittrice con lo pseudonimo di Maria d'Berloc, è quindi importante per intuire e ricostruire atmosfera e fatti, per rendersi conto di quanto il teatro potesse essere ancora al centro della vita politica e culturale. Per aiutare a capire tutto questo, il volume si chiude con una conversazione tra due testimoni di allora e studiosi di teatro, Gianfranco Capitta e Ferdinando Taviani. Sono, queste di Ida Bassignano, pagine molto interessanti e abbastanza vivaci tanto da comunicare e far capire, anche a un giovane che non ha vissuto quegli anni, cosa sia stato l'arrivo di Ronconi sulle scene italiane, cosa abbia rappresentato la sua voglia di sperimentare, di rompere gli spazi e i confini tradizionali di una rappresentazione, il suo pensare spettacolarmente in grande, tanto in grande da creare una mitologia su certi aspetti tecnici e finanziari del suo lavoro, comunque di alto livello. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo