Ma la Carta del Carnaro era un “contenitore libertario”



La Carta che rimase sulla carta. Un calembour fin troppo semplice per rievocare quella costituzione del Carnaro, che nei disegni di Gabriele D’Annunzio avrebbe dovuto organizzare la vita istituzionale di Fiume e dintorni, ma che, pressata dalla congiuntura politico-militare, rimase in vigore nei pochi mesi dell’autunno 1920.

Un documento che non piacque molto alla scienza giuspubblicistica italiana, sia per l’ incombenza dell’aerea prosa dannunziana che per la problematica prossimità all’avvento del fascismo. Solo negli anni Settanta, in chiave storica, Renzo De Felice ne recuperò gli elementi di novità e originalità.

A distanza di un secolo dall’esperimento fiumano Giuseppe de Vergottini, emerito di diritto costituzionale nell’Alma mater bolognese ed esponente di punta dell’associazionismo adriatico orientale, ne riprende in mano i contenuti nel libro “La costituzione secondo D’Annunzio” (introduzione di Giuseppe Parlato, Luni editrice, pp. 175, 20 euro) per soppesare un giudizio meno condizionato dalle antipatie ideologiche. De Vergottini, che dedica il lavoro al padre Giovanni insigne storico del diritto e in gioventù legionario a Fiume, non nega i punti critici e contraddittori di quel testo all’insegna dell’«ibrido», di una sintesi per alcuni aspetti innovatrice e anticipatrice di temi che si paleseranno alcuni decenni più tardi. Ibrido perché frutto dell’incontro tra le differentissime personalità dei due artefici, il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, che funse da capo di gabinetto della Reggenza, e il Vate: leggendo le due stesure, riportate in allegato a fine libro, se ne scorgono le diverse ispirazioni (soprattutto a livello lessicale).

Ibrido perché nei 65 articoli della redazione definitiva confluiscono soluzioni e argomenti della costituzionalistica europea: il riferimento al direttorio confederale elvetico, gli echi delle “Verfassunglehren” delle neonate repubbliche di Weimar e dell’Austria, le antiche suggestioni dei Comuni e delle Signorie medievali. C’è un po’ di Mazzini, ma anche un po’ di George Sorel. C’è una esplicita scelta repubblicana, peraltro assai difficilmente compatibile con lo Statuto Albertino della monarchia sabauda.

De Vergottini ritiene che la Carta sia un sismografo delle sensibilità politico-giuridiche del primo dopoguerra, nell’attenzione all’allargamento della base sociale statuale e all’intervento pubblico in economia.

Come si configura dal punto di vista istituzionale la Fiume di D’Annunzio? Come una democrazia “plebiscitaria”, fortemente caratterizzata dal rapporto diretto del Comandante con il popolo. La stessa Carta appartiene alla categoria delle costituzioni cosiddette “ottriate”, cioè concesse e non negoziate-concertate-condivise con un interlocutore legislativo.

Lo stato fiumano è uno stato senza la mediazione politica dei partiti, mai citati nel testo della Carta: non è prevista la rappresentanza secondo i dettami del liberalismo parlamentare classico. È invece introdotta - uno dei fattori di maggiore novità - una rappresentanza degli interessi economici e professionali, che si sostanzia nella creazione di un sistema corporativo, comunque differente rispetto agli orientamenti della Chiesa e agli esiti successivi del fascismo. E sono ampiamente riconosciute le autonomie delle amministrazioni e dell’università. Viene costituito un organo di garanzia costituzionale, la Corte della Ragione.

Ma - argomenta de Vergottini - la Carta presenta al contempo una notevole apertura in tema di diritti civili e sociali, assumendo i connotati di un contenitore «libertario e anti-borghese». Non c’è divario - recita l’articolo IV -di sesso, di stirpe, di lingua, di classe, di religione. All’articolo VI leggiamo che tutti i cittadini sono eguali davanti alla nuova legge. L’ateismo non è sanzionato. Istruzione pubblica, assistenza nelle infermità, nelle invalidità, nella disoccupazione, pensione nella vecchiaia. Si tutela il lavoro «produttivo» e si insiste sul ruolo sociale della proprietà che «non è il dominio assoluto della persona sopra la cosa».

Figlia del suo tempo - come ricorda il celebre articolo 48 della costituzione weimariana, caro alla riflessione di Carl Schmitt - la Carta del Carnaro si pone il problema dei casi di emergenza: sarà l’istituto semestrale del Comandante a dover affrontare le situazioni eccezionali. —



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