Mafiosi e pure pazzi, così Cosa Nostra si salvava

Paura. Suspance. Mistero. Sono questi i temi di Grado Giallo, il festival letterario ormai giunto alla sua VII edizione. Ma quest'anno il terrore assume toni più "pratici", fatti di sospetti che attanagliano la realtà, non solo il plot di un romanzo. In una parola si parla anche di mafia. Ne sa qualcosa Corrado De Rosa, tra gli invitati del festival (domani, ore 16.45 al cinema Cristallo) e oggi alla Libreria Lovat di Trieste con Veit Heiniken (ore 18). Psichiatra e scrittore, De Rosa ha alle spalle più libri sulle ambiguità della psicologia criminale. L'ultimo è "La mente nera" (Sperling & Kupfer), la biografia di un cattivo maestro, Aldo Semerari: «Era lo psichiatra dei boss», dice. «Semerari negli anni '70 era coinvolto in tutta una serie di torbide vicende. Eseguiva delle perizie con cui i mafiosi potevano ottenere l'impunità. Garantiva ai criminali una serie di privilegi attraverso escamotage come il vizio di mente, la seminfermità, la sospensione dei processi o l'incompatibilità con il carcere».
Psichiatri che in cambio di perizie falsate ottengono favori dalla mafia. Quali?
«Semerari cercava di sfruttare la banda della Magliana. Grazie alle sue perizie lo spaccio, i sequestri e le rapine potevano continuare a condizione che parte del profitto andasse al suo movimento eversivo che si chiamava "Costruiamo l'azione". Era uno dei teorici dell'eversione nera tra i neofascisti romani. Questo è il motivo per cui fu anche arrestato per la strage di Bologna».
In che modo quindi Cosa nostra usa la follia?
«Viene utilizzata per tre motivi: per ottenere benefici di giustizia attraverso perizie compiacenti. Per delegittimare. E infine per trattare. Per esempio quando Provenzano simulò il suicidio nel 2012, in realtà non stava tentando di ammazzarsi ma di dire allo Stato: venite a parlare con me. O quando negli anni '80, dopo il sequestro di un assessore democristiano, i servizi segreti si rivolsero alla Camorra per negoziarne la liberazione: questo fu il paradigma della trattativa Stato-mafia. In cambio Raffaele Cutolo, boss della Camorra, chiese appalti, finanziamenti e un pacchetto di perizie psichiatriche compiacenti».
Negli anni '80, proprio mentre la psichiatria ufficiale cercava di liberarsi dalle etichette delle follia…
«Esattamente. Il 1978 è un anno emblematico. Mentre il Parlamento approvava la legge Basaglia, la psichiatria criminale faceva di tutto per affibbiare ai suoi clienti l'etichetta di pazzo. Nello stesso anno Cutolo, grazie alle perizie, riesce a farsi trasferire nell'ospedale psichiatrico di Aversa da dove fugge. E sempre nel '78 viene attribuita la sindrome di Stoccolma ad Aldo Moro per delegittimare i contenuti delle sue lettere».
Quali le forme di follia autentica che colpiscono Cosa nostra?
«In genere colpiscono i boss di seconda fascia. Il grande capo difficilmente ha un disturbo importante perché non gli consentirebbe di progettare e programmare. Però la storia è piena di affiliati che erano matti. Per esempio Leonardo Vitale aveva una psicosi grave. Dieci anni prima di Buscetta aveva rivelato tutto quello che sapeva su boss che ancora oggi sono sulla cresta dell'onda. Vitale fu uno dei pentiti delegittimati dalla psichiatria, si disse che non era attendibile perché, appunto, psicotico».
Esistono delle differenze nei meccanismi psicologici di affiliazione?
«È molto diverso da zona a zona. Per esempio in Sicilia è un meccanismo dell'essere: io sto in Cosa nostra perché è un sistema fondamentalista, cioè rigido, quindi non c'è bisogno che io pensi, c'è Cosa nostra che pensa per me, ciò che io devo fare è solo comandare. Quando vediamo Provenzano arrestato sembra un pastore della Cappadocia perché non ha bisogno di nient'altro che di comandare. Invece il processo psicologico di affiliazione della Camorra si basa sul meccanismo dell'avere: io mi affilio alla Camorra per la visibilità che mi offre, tanto è vero che il sistema criminale campano non è come quello di Cosa nostra, non è verticistico. In Campania ci sono tanti boss che contano moltissimo in piccoli territori, ma nei territori vicini non contano niente. Così come Provenzano sembrava un pastore, Cosimo Di Lauro, boss di Secondigliano, vive in una casa in ci sono addirittura le terme, è tutta apparenza. In Sicilia è impensabile una cosa del genere».
E sull'attuale trattativa Stato-mafia che mi dice?
«Dal punto di vista giudiziario sarà difficile dimostrare una trattativa. Ciò che mi preoccupa è la delegittimazione sul piano storico, un lavoro non funzionale a tutto ciò che sta facendo la Procura di Palermo. Mi lascia perplesso il forte movimento di delegittimazione nei confronti di questi giudici. Atteggiamento che ricorda gli attacchi ad altri magistrati che invece si sono dimostrati lungimiranti. Quando si leggono libri che tendono a negare la presenza della trattativa, la questione diventa pericolosa perché di fatto un negoziato per tutelare i rispettivi interessi c'è sempre stato. Storicamente lo Stato ha sempre chiesto alla mafia di collaborare: per esempio ha chiesto alla mafia un servizio di polizia nei momenti più delicati della storia, da Garibaldi alla seconda guerra mondiale».
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