“Magnifici ritorni” da Vienna a Aquileia raccontano origini e sviluppo della città

AQUILEIA È sicuramente “magnifico” e uno dei ritorni più attesi il Rilievo votivo di Mitra, rilievo in marmo datato tra la seconda metà del II e inizio del III secolo d.c. che raffigura il dio Mitra nell’atto di uccidere il toro. Trovato, assieme a un altare, a est di Aquileia, nei fondi Ritter di Monastero, fu acquistato dal barone Carlo von Reinelt di Trieste, che nell’estate 1889 lo regalò all’imperatore Francesco Giuseppe.
La scena rappresenta Mitra che uccide il toro, momento culmine della vicenda mitica della divinità solare di origine persiana, il cui culto si diffuse a Roma già dalla fine del I secolo d.C. La forma ellissoidale del rilievo, unica nel suo genere, evoca l’ambientazione della scena in una grotta, il luogo dove in origine veniva celebrato il culto di Mitra. Molto spesso gli spazi di culto sacri alla divinità erano infatti ricavati in cavità naturali o ne imitavano le caratteristiche, prendendo per tale motivo il nome di “spelea”. Almeno un luogo con queste caratteristiche era sicuramente presente ad Aquileia, come ricorda una dedica votiva a Mitra conservata nel museo a testimonianza della vivacità e della fortuna del culto di origine orientale nella città altoadriatica.
Questo è solo uno dei 110 reperti che si possono ammirare nell’esposizione “Magnifici Ritorni. Tesori aquileiesi dal Kunsthistorisches Museum di Vienna” al Museo Archeologico Nazionale di Aquileia (fino al 20 ottobre, da martedì a domenica 10-19) e organizzata dalla Fondazione Aquileia, dal Polo Museale del Friuli Venezia Giulia e dal Kunsthistorisches Museum di Vienna con il patrocinio del Comune di Aquileia e in collaborazione con Fondazione So.co.Ba, per celebrare i 2200 dalla fondazione dell’antica città romana.
La mostra, curata da Marta Novello, Cristiano Tiussi e Georg Plattner, scorre su un doppio binario temporale, da una parte l’Aquileia di 2200 anni, dall’altra l’Aquileia del tardo Settecento e il primo Ottocento, quando la città era parte dell’Impero asburgico e gli scavi erano sì occasionali, ma determinati al recupero di “tesori” antichi che portarono a scoperte di notevole rilievo. Una sorta di “indagini preliminari” che condussero agli studi e alle scoperte di più ampio respiro degli archeologi austriaci, effettuati nell’area del circo e delle mura tardoantiche tra il 1872 e il 1875 e, soprattutto, quelle importantissime avviate nel 1893 intorno al complesso basilicale.
Il percorso espositivo, caratterizzato dall’uso di supporti color rosso pompeiano, si innesta perfettamente al rinnovato allestimento del museo, il dialogo instaurato tra i reperti della collezione permanente e i “ritorni” del Kunsthistorisches Museum forniscono un ulteriore tassello alla storia di Aquileia.
Tra le opere lapidee di maggior pregio, esposte al piano terra, si segnala la statua di aquila, databile al II sec. D.C., dono fatto all’Austria nel 1817 da Girolamo de’ Moschettini, che raffigura un’aquila a tutto tondo, lavorato in un unico blocco, il rilievo con sacrificio di toro, rilievo frammentario in marmo bianco di cospicue dimensioni, che riproduce una scena di sacrificio rituale dinnanzi a un altare e un ritratto maschile in marmo che rappresenta un giovane uomo con barba corta.
Grazie al sostegno della Fondazione Aquileia si è reso possibile anche il restauro della cosiddetta Venere di Aquileia, che dopo una lunga permanenza nei depositi viennesi finalmente può finalmente essere esposta. Rinvenuta nel febbraio del 1824 e venduta nel 1828 alle collezioni imperiali a Vienna, la statua rappresentata la dea nuda, con il solo mantello che avvolge il corpo all’altezza dei fianchi.
Accanto ai reperti lapidei, si possono ammirare anche molti materiali preziosi: argenti, bronzi, gemme, tra cui la patera in argento, l’eccezionale piatto dalla complessa raffigurazione allegorica riconducibile a temi dell’abbondanza e della celebrazione dell’agricoltura, donato nel 1816 all’imperatore d’Austria Francesco I dal conte Francesco Leopoldo Cassis Faraone, e la croce in bronzo del IV secolo con il monogramma dato dall’intersezione delle iniziali del nome greco di Cristo donata a Vienna dal barone Ettore von Ritter verso la metà dell’800.
Nell’allestimento le numerose gemme esposte sono affiancate da gigantografie e da un allestimento multimediale che permette di coglierne peculiarità, colori, disegni. —
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