Maldobrie della Sanità quarant’anni di vita dentro e fuori le corsie di Faraguna & Zigrino

Il pediatra e il manager a quattro mani firmano un ritratto sorridente (e anche amaro) in cui qualcuno si riconoscerà...



Un popolo non sfugge ai suoi caratteri originari. Il Belpaese è la culla della commedia dell’arte e non della tragedia, così se vai in ospedale e cerchi il dottor House ti ritrovi davanti il dottor Battiscopa. Intendiamoci, nelle corsie ci sono ovviamente medici bravi, acuti clinici, eccellenti chirurghi, sopraffini diagnostici, ma quando si tratta di trasporre la realtà sulla scena ecco che viene spontaneo farne non il santino celebrativo, ma la maschera del ‘medico della mutua’ di Alberto Sordi. Se poi a raccontare quasi trent’anni di ‘Sanità dietro le quinte…a Trieste e dintorni’ (Libreria antiquaria Drogheria 28, pagg. 100, 15 euro) si sono messi Franco Zigrino, per anni manager della sanità pubblica e Dino Faraguna, pediatra e dirigente medico e figlio di uno degli autori delle esilaranti ‘Maldobrie’, il risultato è una scoppiettante raccolta di episodi tra l’ironico, l’amaro e il boccaccesco vissuti dai due negli ultimi quarant’anni.

Come nella migliore tradizione della commedia all’italiana, sotto la superficie del sorriso alberga la malinconia di un panorama alquanto miserello nelle ambizioni mal riuscite, nella ruffianeria cortigiana, nella vuota prosopopea. Come quella del dottor Battiscopa, così chiamato dalla sua altezza non proprio da giocatore di basket e dotato viceversa di un’alta dose di soperchieria che spandeva sui suoi sottoposti.

Zigrino e Faraguna non hanno mai lavorato assieme, ma si sono incrociati più volte durante la vita professionale. Una volta raggiunta la pensione, seduti a un caffè, hanno cominciato a svolgere il nastro del loro come eravamo accorgendosi che attraversando quattro lustri della sanità triestina il sacco dei racconti era onusto di parole. Hanno così visto la luce queste cento paginette, che non hanno certo esaurito la pletora di racconti che i due ex si sono scambiati (tanto che altrettante sono già pronte per la seconda parte) e nelle quali si potranno riconoscere, e spesso non saranno contenti, molti tra gli addetti di quella che è la più grande industria della città.

L’azienda sanitaria conta in totale circa 5000 addetti, ed è scontato che ci si trovi di tutto. Anche perché questo mondo è governato dalla mano pubblica, con i suoi criteri, i suoi riti, la sua fondamentale resilienza. Certo, in quarant’anni tante cose sono cambiate. Forse non si aggirano più personaggi come il ‘sindacalista fancazzista’, che negli anni Settanta poteva impunemente portare a casa lo stipendio di tecnico radiologo e a cui l’esito del suo non facile licenziamento aprì le porte di una carriera quale sedicente mago di Aleppo. Almeno fino a quando, ridacchiano Zigrino e Faraguna, non venne condannato per circonvenzione di incapace. O non si ripetono più quei battesimi dei neoassunti, perpetrati da certi vecchi capi dell’amministrazione per cui bisognava dimostrare di sapere reggere non pochi bicchieri di vino.

Quello che si ripete immancabile è il commiato dal lavoro per raggiunti limiti di età, occasioni rese ancora più pesanti per la presenza dei direttori cosiddetti ‘iazabudei’, come da titolo di un gustoso siparietto. In un’altra gag viene ricordato come un insigne e burbero ginecologo, fatta irruzione in sala parto, avesse definito ‘stropacui’ le ventose ostetriche che un altro medico stava applicando senza successo durante un parto difficile.

Gli autori hanno evitato di fare i nomi dei protagonisti di gran parte dei loro racconti - ma sicuramente anche molti pazienti li potranno individuare - menzionando solo quelli degli amici o dei colleghi degni di stima. Come il binomio del Burlo formato da Nordio & Panizon, ‘brave persone e grandi maestri’, oppure Isidoro Marass, primo direttore generale dell’ospedale infantile e oggi quasi misconosciuto.

Chi non si riconoscerà invece, ne sono certi Zigrino e Faraguna, è un tipo particolare, rintracciabile in tutti i campi umani, e di cui offrono un bel ritrattino: il ‘mona’. Perché? “Perché el mona xe proprio mona!”. —

Riproduzione riservata © Il Piccolo