Margherita Hack sognava di viaggiare nel futuro con la macchina del tempo

di Fabio Pagan «Ormai ho vissuto più a lungo a Trieste che a Firenze. E qui a Trieste mi sento ancora giovane, è come se fossi rinata nel 1964, quando sono arrivata in questa città. Firenze, invece,...
Di Fabio Pagan

di Fabio Pagan

«Ormai ho vissuto più a lungo a Trieste che a Firenze. E qui a Trieste mi sento ancora giovane, è come se fossi rinata nel 1964, quando sono arrivata in questa città. Firenze, invece, mi fa sentir decrepita: non c’è angolo di strada che non mi ricordi il passato». Così diceva Margherita Hack quando metteva a confronto i due luoghi principali della sua esistenza. E ora che ci ha lasciato da un anno (dopodomani, 29 giugno, è il primo anniversario della morte) il suo ricordo è tuttora vivissimo nella nostra città. Raccontava che fu conquistata da Trieste il giorno che vi arrivò la prima volta: «Era una magnifica giornata di sole. E dal finestrino del treno mi si aprì improvvisamente la vista sull’azzurro del mare e sul verde del Carso».

Prima donna in Italia a dirigere un osservatorio astronomico, allora una delle pochissime al mondo. È stato dei molti “soffitti di cristallo” infranti nei 91 anni della sua lunghissima esistenza. Una vita vissuta di corsa. E non solo metaforicamente, viste le sue passioni sportive: l’atletica in gioventù a Firenze, a Trieste la pallavolo nel campetto allestito nel giardino dell’osservatorio e le nuotate ai “Topolini” di Barcola, le corse in bicicletta e le camminate sul Carso fin che le forze gliel’hanno consentito. Oltre all’impegno politico, agli interventi su temi etici e sociali, alle battaglie per gli amici animali.

Trieste accolse Margherita con curiosità e simpatia. La sua prima uscita pubblica in città, credo all’inizio del ’65, fu una conferenza al Circolo della stampa. Nel 1966 la ricordo a una tavola rotonda sulla vita extraterrestre organizzata dal Festival del film di fantascienza: accanto a lei sedeva Arthur C. Clarke, lo scrittore e saggista che stava collaborando con Kubrick per “2001 Odissea nello spazio”. E cominciò subito a interagire con la comunità scientifica triestina, in particolare con Paolo Budinich e con il nascente Centro di fisica teorica, allora nella sede provvisoria di piazza Oberdan.

Nel 1978 invitai Margherita Hack (già attivissima nella divulgazione su giornali e riviste) a scrivere anche per “Il Piccolo”, dove allora gestivo tra l’altro una pagina di scienza. Di solito i suoi articoli mi arrivavano in grandi buste con l’indirizzo scritto da lei stessa a mano. Altre volte era il marito Aldo che veniva di persona in redazione, nella vecchia sede di via Pellico, a portarmi il pezzo dattiloscritto: la firma era quella di Margherita, ma io sapevo che c’era il suo zampino – anche se lui, come sempre, preferiva rimanere dietro le quinte.

Quando, negli anni successivi, il suo nome e il suo volto divennero sempre più popolari, Margherita si trasformò a poco a poco in una specie di icona, una popstar della scienza. Un ruolo che la divertiva ma anche l’imbarazzava. «Io non sono una grande scienziata, non ho fatto scoperte importanti. Ho lavorato onestamente e duramente, trasformando un osservatorio astronomico agonizzante in un centro scientifico di respiro europeo».

In realtà, sono molti di più i suoi meriti in campo professionale. Margherita Hack è stata tra i protagonisti della spettroscopia stellare, promosse in Italia la ricerca radioastronomica e l’astrofisica da satelliti. Ma amava lavorare da sola, lasciando ai collaboratori completa libertà. Il che le ha impedito di creare una vera scuola.

Negli ultimi anni, il fisico infiacchito dall’età e dai problemi cardiaci, parlava con serenità della morte. Aveva fatto suo il detto di Epicuro: «Quando ci siamo noi, la morte non c’è. Quando la morte arriva, non ci siamo più noi». L’angosciava, semmai, il pensiero di lasciar solo Aldo, il suo compagno di tutta la vita, di due anni più vecchio di lei, che vive ormai in un oblìo senza tempo. Ma aveva mantenuto il gusto per la battuta impertinente, con quel suo accento toscano che faceva scattare l’applauso. E continuava a guardare al futuro.

Quando partecipavamo assieme a qualche incontro pubblico, c’era tra noi uno scambio di battute ormai collaudato. Le chiedevo: «Margherita, se avessi a disposizione una macchina del tempo, dove vorresti andare: nel passato o nel futuro?». Lei rispondeva decisa: «Nel futuro, nel futuro! Il passato lo conosciamo a sufficienza. È il futuro che mi affascina...».

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