Marongiu e I Sporcaccioni «È rock-blues in salsa bisiaca»

Elisa Russo
«Non credo affatto che il dialetto sia un limite ma anzi, un prezioso faro sull'identità». Così dice Claudio Marongiu, fondatore e leader di Marongiu & I Sporcaccioni, quintetto goriziano che unisce humour e serietà combinando rock-blues e dialetto "bisiaco". Pubblicano con Boogie Records il terzo disco "Mulo de paese": «"Mulo" lo si usa in particolare rivolgendosi all'adolescente, che è il nostro soggetto principale. Un incrocio dell'asino: quale altro animale, refrattario agli insegnamenti, assomiglia così tanto al teenager?».
La motivazione di Marongiu nell'unire rock e dialetto parte da lontano: «Sono stato un pessimo studente e i genitori mi hanno forzato ad accettare lavori di fatica che spesso non ero in grado di svolgere. Turnazioni notturne in una fabbrica di valvole, un'altra di bulloni, brevi e disastrose parentesi nel mondo delle Poste, un po' di tutto e molto male. Da questo marasma di esperienze però è nata un'esigenza sincera di scrivere canzoni che non fossero né il solito diarietto da universitario al primo anno, né un'adesione faziosa al mondo delle Pro Loco. In sostanza, avevo intuito di poter essere più credibile e felice urlando nel mio dialetto che in modalità espressive trite e alienate».
In studio di registrazione la band ha avuto collaborazioni importanti, da Franco Beat a Joe Perrino dei Mellowtones, e soprattutto Antonio Gramentieri, in arte Don Antonio. Il chitarrista dei Sacri Cuori, noto anche all'estero per il suo lavoro con Hugo Race, Howe Gelb, Alejandro Escovedo e Cesare Basile, ha prodotto i quattordici brani di questo terzo album: «Antonio è un generoso e gli piacciono le sfide - racconta Marongiu - penso che l'idea di prendere (nel caso nostro) un gruppo incompiuto ma con una poetica e un potenziale a lui congeniali e mettere le proprie conoscenze a disposizione del progetto, l'abbia in una certa misura divertito. Serba anche una visione pura della musica e dell'arte, se ci ha detto di sì non l'ha fatto per questioni venali, così come da parte nostra non c'è stato alcun calcolo di sfruttamento della sua rotonda immagine. Ha riscattato la nostra piccola carriera e rilanciato un gruppo che nonostante si esibisse regolarmente da decenni, non era ancora riuscito a registrare un buon disco». Canzoni solo apparentemente demenziali e sgangherate, in realtà efficaci nel fotografare la vita di provincia sulle rive dell'Isonzo e i personaggi che la animano, con una scelta di fondo: sonorità che partono dagli Ac/dc e arrivano agli Skiantos, senza dimenticare la comunicazione più diretta: «Scartabellando fra i cd in offerta al fu Mercatone Zeta - ricorda Marongiu - a quindici anni portai a casa "Powerage" degli Ac/dc e tutto iniziò. Ero completamente estraneo a un certo senso di trasgressione, a casa si ascoltava Radio Birikina, ma quel suono di chitarre grandissimo (nel senso di una vastità psicoacustica) che arrivava dall'Australia mi colpì al cuore. Ora però sto cercando di unire Radio Birikina con gli Ac/dc, dire pop non è spregiativo e apprendere che quel pop Italiano era confezionato benissimo e beneficiava di interpreti di altissima levatura è una piacevole riscoperta». Al cantante e autore Marongiu si aggiungono Andrea Farnè al basso, Gioppi Bertossi alla chitarra, Enrico Granzotto alle tastiere, Michele Cuzziol alla batteria; nel 2015 aprirono un concerto dei Rumatera a Trieste e restarono folgorati dalla fusione di dialetto veneziano da una parte e gestione professionale del palco dall'altra. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo