Martari è “L’alligatore” di Carlotto con la regia di Vicari su Rai 2

ROMA

Un crime noir padano a ritmo di blues: arriva in tv “L’alligatore”, detective senza licenza e appena uscito di galera (anche se condannato ingiustamente), ma che in certi ambienti sconta ancora il suo passato. Per il suo scrittore, Massimo Carlotto, tradotto in tutto il mondo, non c’era modo migliore di festeggiare i 25 anni di questo anti-eroe noir, nato nel ’95, passato attraverso nove romanzi (e/o edizioni) e un graphic novel e tornato in libreria. «Un Veneto dalle notti piovose, con la laguna deserta, la nebbia con il suo sfondo nostalgico, è protagonista assoluto nelle avventure dell’Alligatore». Parola del regista Daniele Vicari (Diaz, Sole Cuore Amore, il Passato e una terra straniera, Il Giorno e La notte), con Daniele Scarigi con lui dietro la macchina da presa, che dal 25 novembre porta in tv la serie in onda su Rai2 per quattro prime serate (anticipate su Rai Play da oggi). Personaggio nato dalla penna dello scrittore padovano (che ha collaborato alla sceneggiatura, firmata da Laura Paolucci e Andrea Cedrola), trasposto nell’omonima serie per Rai Fiction e Fandango, con protagonista Matteo Martari nei panni di Marco Buratti, l’Alligatore è un ex cantante di Blues, ingiustamente condannato a sette anni di carcere.

«Tratta da una collana di romanzi tradotti in Europa e negli Usa, l’Alligatore è una novità nel panorama tv italiano per il suo stile hard-boiled in versione mediterranea. Dietro le sbarre, l’uomo ha messo da parte il canto – ricorda Vicari – diventa un investigatore molto particolare, senza licenza. Insieme a due amici, altrettanto particolari, Rossini (Thomas Trabacchi) e Max la memoria (Gianluca Gobbi), crea una band che rivela le malefatte di organizzazioni criminali e di ambienti collusi dalla facciata pulita. Il nostro protagonista contrariamente agli altri rifiuta ogni forma di violenza, anche se non disdegna metodi particolari per raggiungere la verità». Per Vicari si tratta della prima serie tv: «È vero, ma quando mi è stato proposto il progetto ho accettato proprio perché ho amato molto i libri di Massimo Carlotto, non solo per le storie, ma per le varie sfaccettature dei personaggi: anche quello appena accennato lasciava un segno indelebile. Grazie poi alla sua collaborazione alla sceneggiatura abbiamo avuto ampio margine nell’adattamento della storia, ad esempio ambientandola nei giorni nostri». —

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