Mattotti con i suoi orsi a Cannes «Una favola attuale, sempre nuova»

Tutti in fila per l’anteprima del nuovo Quentin Tarantino (“C’era una volta a Hollywood”), con Brad Pitt e Leonardo DiCaprio attesi per ore e accolti da scene di isteria. I due non si sono risparmiati e hanno firmato autografi, fatto selfie, accettato sorridendo l'affetto dei fan. Entrambi in smoking, DiCaprio ha sfoggiato barba corta con il pizzo, Brad capelli portati un po’ lunghi a sfiorare il collo.
Ieri, nella sezione Un Certain Regard, ha debuttato anche l’illustratore italiano Lorenzo Mattotti. Uomo di cultura, amante e profondo conoscitore del cinema e dell’arte che ha letteralmente incantato la Croisette con il suo primo film di animazione: “La famosa invasione degli orsi in Sicilia”, con le voci illustri di Toni Servillo, Antonio Albanese, Corrado Guzzanti e Andrea Camilleri e che sarà prossimamente distribuito in Italia dalla Bim. Un racconto nel racconto, con il cantastorie Gedeone e la piccola Almerina che narrano la storia di Leonzio, il Grande Re degli orsi, in marcia con il suo popolo dalle montagne fino alla pianura, dove vivono gli uomini, alla ricerca di Tonio, il figlio scomparso. «Un lavoro per i bambini e le famiglie - spiega Mattotti - ispirato al libro di Buzzati, iniziato a capitoli per Il Corriere dei Piccoli e poi completato nel 1945. Buzzati ha sempre influenzato il mio lavoro, ha catturato la mia attenzione fin da quand’ero ragazzo. Apprezzavo la sua capacità di creare mistero, le atmosfere, la visionarietà, anche nei suoi dipinti, non solo nei romanzi. Mi piaceva il suo modo di raccontare, come se si trattasse di leggende, di storie antiche».
Lorenzo Mattotti, perché proprio l’invasione degli orsi?
«Quando i produttori Valérie Schermann e Christophe Jankovic mi hanno proposto di realizzare un lungometraggio, ho pensato immediatamente a questo racconto. È accaduto in modo naturale. Questo libro è come una scatola magica, piena di idee, piena di amore per il racconto, per il gusto stesso del raccontare».
Nel racconto di Buzzati si intuisce che tra le righe si parla di guerra, di dittatura. La sua invasione degli orsi è fedele a questi riferimenti o legata al presente?
«Come una favola attuale. Non ho mai pensato all’interpretazione di Buzzati. La forza di questa favola è quella di rinnovarsi continuamente. Io l’ho letta attraverso i miei occhi. Mi interessava lavorare sulle nostre tradizioni, mettere in scena un lavoro che avesse a che fare con le nostre radici: leggende, rituali che appartenessero al nostro immaginario e non importati da quello americano o giapponese. Ho preso a riferimento Giotto e Beato Angelico, cercando di creare un’iconografia mediterranea e non gotica».
Quali sono le differenze tra il libro e il film?
«Ho cercato un continuo dialogo con il lavoro di Buzzati. Non volevo che il film avesse il mio stile personale, ma una sua propria estetica».
Quali sono stati invece i riferimenti cinematografici?
«Per il film ho guardato al Walt Disney di “Fantasia”, il più classico e fuori dal tempo, e anche al Miyazaki di Totoro e della Principessa Mononoke. Ma avevo presente anche “Yellow Submarine” e “Il pianeta selvaggio”. La mia idea era quella di fare del cinema: creare profondità e ampi paesaggi, spazi, avventura. Come in “Lawrence d’Arabia” o quei “grandi” film che oggi non si fanno più».
Sui titoli si legge che il film è dedicato a Carlo Mazzacurati...
«Carlo era un amico e una persona meravigliosa. Mi ha sempre spinto a fare del cinema e negli ultimi tempi avrebbe voluto lavorare con me. Ho sempre sentito vicina la sua presenza». —
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