Maurizio Ferraris «A volte anche i geni sono degli imbecilli»

di ALESSANDRO MEZZENA LONA
Facile dare dell’imbecille agli altri. Più difficile chiedersi se la stessa cosa possono pensare gli altri di noi. Per ammettere, poi, che la Storia è costellata di episodi di imbecillità, anche là dove abita il genio, il talento artistico e letterario, la lungimiramnza politica ed economica, bisogna fare una sorta di doppio salto mortale.
Proprio quello che propone di fare Maurizio Ferraris con il suo nuovo libro “L’imbecillità è una cosa seria”, edito da il Mulino (pagg. 129, euro 12). Perché nei quattro capitoli, più prologo e epilogo, che compongono il saggio, niente viene dato per scontato dal docente di Filosofia teoretica all’Università di Torino, che ha una lista lunga così di pubblicazioni alle spalle ed è considerato uno dei punti di riferimento della cultura italiana del terzo millennio.
Imbecilli, in generale, sono quelli che non la pensano come noi. Ma definire l'imbecillità è affare assai più complesso?
«Non penso che gli imbecilli siano quelli che non la pensano come noi, o almeno come me - spiega Maurizio Ferraris -. Conosco veri e propri geni che hanno idee diverse dalle mie. E mi è capitato tantissime volte di avere delle idee imbecilli. In generale, direi che l'imbecillità sia la condizione umana ordinaria, il fatto di essere animali non troppo autonomi né troppo svegli, che rimediano alle loro insufficienze con apparati tecnici (imbecille deriva da in-baculum, privo di bastone, senza armi e senza tecnica), con cultura, storia, politica. Tutte armi fatte per difenderci dalla nostra imbecillità, ma armi a doppio taglio, che ci rivelano per quelli che siamo».
Potremmo sintetizzare dicendo che c'è un'imbecillità "intelligente" e una "imbecille"?
«L'imbecillità è imbecille e basta. Chi è meno imbecille, sospetta di esserlo, chi è perfettamente imbecille si crede immune dal male. Dunque se vedete qualcuno che dice "sono un genio", avete la certezza matematica di avere a che fare con un imbecille. Dopo di che per l'imbecillità si può fare lo stesso ragionamento che per il colesterolo: può esserci una imbecillità buona, quella che fa commettere degli errori che inducono a rettifiche e miglioramenti, così come può esserci l'imbecillità cattiva, che è nociva e basta.
Vox populi vuole i politici campioni dell'imbecillità. Solo un pregiudizio?
«Non c'è dubbio. È impossibile che un politico sia, per esempio, più imbecille di quelli che lo hanno eletto. Per imbecille che fosse Mussolini (e lo era), quelli che plaudivano al suo trionfo e inneggiavano alla dichiarazione di guerra a Francia e Inghilterra erano molto più imbecilli di lui. Dire che i politici sono imbecilli è una consolazione populista di breve durata, il giubilo propriamente imbecille di chi, sottomesso, pretende di essere più furbo di chi lo comanda. Come si può seriamente pretendere che, non dico Bismarck o de Gaulle, ma anche Andreotti o Craxi, fossero imbecilli? E se nella seconda repubblica il numero di imbecilli in politica è cresciuto (e lo è) ciò dipende dalla fortissima immissione di non-politici grazie alla nefasta convinzione che una generica "società civile" sia più illuminata dei politici di professione».
Anche i grandi denotano imbecillità. Lei cita Rousseau, Dostoevskij, Nietzsche, perfino i "poveri di spirito" dei Vangeli. Come mai?
«I poveri di spirito non sono dei grandi, ma degli scemi, che grazie alla bontà divina hanno il regno dei cieli. La beatitudine evangelica enuncia un paradosso, i poveri di spirito sono dei miracolati, non dei grandi. Il caso di Rousseau, Dostoevskij e Nietzsche è diverso: sono grandissimi spiriti, ma contemporaneamente personalità a dir poco disturbate, fragili, angosciate, e tra la debolezza e l'imbecillità non c'è che un passo, o un capitombolo».
Che dire di un grande pensatore come Henri Bergson affascinato dagli spiriti e da medium fasulli?
«Che dire di un grande pensatore come Schelling che oltre a far ballare i tavolini con la regina di Baviera aveva cercato di curare la figliastra con tutto che era laureato in filosofia, non in medicina, e l'aveva ammazzata? Che dire di un grande logico come Kurt Goedel che credeva ai fantasmi? Che dire di un grande poeta come D'Annunzio che si è messo un incrociatore in giardino? Che dire di un grande generale come Gioacchino Murat che domandò a un soldato nero della Martinica "voi siete nero?", e alla sua risposta affermativa ha ribattuto "bravo, continuate"? Che dire di un grande editore come Giulio Einaudi convinto che "onirico" significasse "erotico"? Che dire di un gigante della storia universale, Napoleone, che va per sei mesi in Egitto a farsi ammazzare gli uomini dalla dissenteria e a farsi affondare le navi dagli inglesi? La lista delle imbecillità degli uomini di genio è infinita, forse supera addirittura, magari per contrasto, la lista delle imbecillità degli imbecilli ordinari».
Salah Abdeslam, uno dei leader delle stragi fondamentaliste, secondo il suo avvocato ha l'intelligenza di un portacenere. La banalità del Male di Hannah Arendt diventa imbecillità?
«Non "diventa": c'è sempre stata. Per restare alla storia italiana: erano intelligenti quelli che hanno infierito sui corpi morti di Mussolini e degli altri? O i lazzari che nel 1799 a Napoli giocavano a calcio con le teste dei giacobini decapitati? Accanto alla imbecillità del male abbiamo anche la banalità, che è quella di Eichmann, che certo imbecille non era. Forse c'è anche la genialità del male, sebbene al momento non mi vengono in mente degli esempi».
Lei non sembra d'accordo con chi sentenzia che il web ci rende stupidi...
«Non sono d'accordo perché gli stupidi ci sono sempre stati, anche prima del web, e mi pare futile dar la colpa al web della nostra imbecillità. In generale, nulla è più falso dell'idea che la tecnica aliena esseri altrimenti virtuosi e perfetti… Ma quando mai: li rivela per quelli che sono, ci rivela per quelli che siamo. Questa storia di internet che rende stupidi mi ricorda le lamentele degli scemi di guerra di tanti anni fa, "a me mi ha rovinato la guerra...". Senz'altro: ma sei sicuro che quando è scoppiata la guerra tu non sei andato in giro a cantare inni patriottici? E, se è così, sei davvero sicuro che a rovinarti sia stata la guerra?».
Come definire la perdita di senno delle orde che invadono gli stadi di calcio?
«Un enorme progresso rispetto agli scemi di guerra di cui parlavo un momento fa. Il segno, dunque, del fatto che l'umanità va verso il meglio. Genny 'a Carogna è pur sempre meglio del comandante di uno squadrone della morte, e se l'imbecillità umana può manifestarsi in modi relativamente poco cruenti, siano benedetti questi modi».
Come ci si libera dall'imbecillità: riconoscendo di essere in-baculus, ovvero inadeguati?
«Sì, ma ovviamente non basta la presa di coscienza. Ci vuole anche un po' di buona volontà. E, soprattutto, come sempre nella vita, ci vuole tanta fortuna. Chissà quante persone ci sembrano intelligenti, sagge e adeguate perché non si sono mai trovate in situazioni difficili che ne avrebbero rivelato insufficienze, imbecillità, meschinerie, orrori di ogni sorta».
Si chiede perché scrivere un libro sull'imbecillità. Ha trovato la risposta?
«Riconosco la malizia della domanda, e in fondo la condivido. Ovvio, ci vuole un po' di imbecillità, ci vuole familiarità con la materia per imbarcarsi in una impresa comunque rischiosa, e che, nel migliore dei casi, ti attirerà addosso il tu quoque trascendentale, la ritorsione "imbecille sarai tu". Lo ricordo nel libro: se scrivi un libro su un genocidio, nessuno ti prende per genocida; se scrivi un libro sull'imbecillità, il sospetto che tu lo sia passa nella testa anche del lettore meno prevenuto. Ma io sono professore, e i professori sono molti: se una minima percentuale di loro avrà comprato il libro temendo di essere citati, sarebbe già un bell'aiuto in libreria».
alemezlo
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