Mereghetti distribuisce le stelle poche ai film girati in regione

Più che un appuntamento, si tratta di una vera e propria tradizione cinefila che si perpetua con cadenza biennale ormai da cinque lustri, da quando, nel 1993, la Baldini & Castoldi pubblicò la primissima edizione del Dizionario dei film da tutti conosciuto e apprezzato semplicemente come “il Mereghetti”. Attesissimo, anche stavolta, è in libreria dalle feste di Natale il nuovissimo Dizionario dei film 2019, la dodicesima revisione curata dal critico cinematografico più famoso d’Italia (da qualche tempo affiancato da un gruppo di collaboratori), firma storica del “Corriere della Sera” e titolare di rubriche per numerose riviste di settore.
Dai due tomi della precedente pubblicazione si passa a tre (due per i film, più un terzo che raccoglie gli indici di registi, attori e titoli originali) per un totale di 35.000 schede ampliate e riviste, che abbracciano un arco temporale di 124 anni, lungo quanto è lunga l’avventura del cinema: da “L’arrivo di un treno alla stazione di Ciotat” dei fratelli Lumière fino a oggi.
Sempre più imponente (si superano i quattro chilogrammi e le pagine sono 6.000, indici esclusi), rinnovato da cima a fondo in un favoloso e sfavillante rosa shocking che di certo non passa inosservato, “il Mereghetti” bigger-than-life indossa un nuovo abito ma preserva intatta la sua natura: agile strumento di consultazione per il semplice spettatore, ma anche e soprattutto un primo e utile passo in direzione di un approfondimento critico ancora necessario, forse oggi più che mai, in questo particolare momento storico in cui (anche) il prodotto cinematografico si consuma in fretta e in preda a una spasmodica bulimica frenesia.
Le novità, comunque, non mancano. Ne accennava Mereghetti in persona, l’estate scorsa, a Gorizia, accorso per ritirare il riconoscimento alla cultura cinematografica che gli organizzatori del Premio Amidei gli hanno voluto attribuire: «Ogni ristampa è un’occasione per aggiustare delle cose».
Legittimo, allora, approfittarne per un restyling che non si fermi alla grafica, con il particolare degli occhioni grandi di Sofia Loren in copertina, ma che vada a fondo anche nei contenuti: a cominciare dalla lunghezza delle schede, con trame più dettagliate, senza però trascurare il giudizio critico, con un’operazione di rivalutazione ex-post che ha voluto rendere giustizia ad alcuni titoli che magari meritavano qualche “stellina” in più (“Blow-Up” o “La notte di San Lorenzo”, “Lo spaccone” o “Sogno di amanti”), ma anche ridimensionarne altri (“L’armata Brancaleone” o “La vita privata di Sherlock Holmes”), forse sopravvalutati in passato. L’opera omnia di alcuni grandi registi come Angelopoulos e Rohmer, Antonioni e Lelouch, Lindberg e Stahl, David Lean e Jim Jarmush è stata complessivamente riconsiderata per verificarne la tenuta nel tempo, al pari dei “cicli” de “La pantera rosa”, “Lessie” o dei musical di Busby Berkeley.
Sono circa 500 i “film a 4 stelle” secondo Mereghetti (tra i più recenti inserimenti: “I diari di Angela - Noi due cineasti” di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, scomparsa lo scorso febbraio, “Il filo nascosto” di Paul Thomas Anderson e “Un affare di famiglia” di Kore-Eda Hirokazu, Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes), ma c’è una sezione altrettanto nutrita per le medaglie d’argento, con tutti i titoli che hanno raccolto “solo” tre stelle e mezzo, e 58 voci tematiche che raccolgono gli 007 e gli Star Trek, i Pixar e i “classici” Disney, gli Zorro, i Maciste, le comiche di Chaplin e altro ancora.
Nel novero delle 2.000 schede di fresca introduzione, la maggior parte delle quali dedicata a film di recentissima uscita, è da segnalare la doverosa apertura alle filmografie di autori non più trascurabili e unanimemente applauditi dalle frange critiche più radicali e cinéphile come Bertrand Bonello o Arnaud Desplechin, Sergei Loznitsa o Aleksej German sia padre che figlio, Lav Diaz, Hong Sang-soo o Kiyoshi Kurosawa, al pari di quelle uscite che - come impongono i tempi - hanno fatto a meno della distribuzione in sala per approdare direttamente in Home Video o sulle piattaforme streaming (il Leone d’Oro “Roma” di Alfonso Cuarón o il ritrovato “The Other Side of The Wind” di Orson Welles, da poco disponibili per gli abbonati Netflix).
E ancora: qualche classico reso disponibile dal mercato dei dvd o dalla rete, l’introduzione di alcuni B movies, una ventina di film prodotti nella Germania dell’Est e tutti i cortometraggi di Stallio e Ollio raccolti in un’apposita voce tematica, assieme a quella, nuova di zecca, dedicata ai cinepanettoni. Niente serie tv, però. Non all’interno di quello che orgogliosamente insiste a volersi intitolare “Dizionario dei film”. Con una sola (prevedibile, ma imperativa) eccezione: “Twin Peaks – Il ritorno” di David Lynch, considerato un unico film in 18 parti, celebrato in una scheda-monstre che occupa ben cinque pagine del volume, con l’accensione di tutte le stelle possibili nello scintillante firmamento Mereghettiano. —
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