Migranti italiani in Quebec ne “La seconda patria” si alleano con i nativi Innu



Non sono pochi gli italiani, donne e uomini di grande coraggio, che han fatto crescere dentro di sé lo “spirito nomade” scegliendo, piuttosto che battersi tra simili in situazioni di crisi e privazioni, di abbandonare la propria terra e partire.

A loro guarda oggi S/paesati, manifestazione sul tema delle migrazioni arrivata ai suoi primi 20 anni: e dopo aver vinto il premio per il miglior documentario al MantovaFilmFest2019 sarà a Trieste - alle 18 al Cinema Ariston - il regista torinese Paolo Quaregna, per presentare il suo "La seconda patria. Quando i migranti siamo noi", coproduzione Italia-Canada con la partecipazione di Istituto Luce-Cinecittà.

Al centro di questo interessante quanto curioso viaggio è Johnny Stea, sorta di Virgilio che guida lo spettatore nelle terre del Quebec: «Campione di resilienza e adattabilità, lo definisco io - racconta il regista -: lui è certamente il protagonista, anche se il film è corale. Partito nel '46 insieme al padre per il Belgio, in base ai famosi accordi di "uomini in cambio di carbone", da piccolo fece un po' di miniera. Poi arrivarono gli emissari del Nord America: "le nostre miniere sono più pulite", dissero. E Johnny, anzi Giovanni, come continua a chiamarlo la moglie, si avventurò alla volta dei distretti minerari del gelido Canada».

«Racconto il Quebec - spiega Quaregna - perché è una regione che ha vissuto, in modo anche molto aspro negli anni '60, un conflitto culturale gravissimo tra la maggioranza francofona più povera e la minoranza anglofona, dove i primi hanno difeso a spada tratta la loro identità culturale e linguistica. Nel film c'è l’attore italo-canadese Tony Nardi, fenomeno interessantissimo che recita magistralmente in italiano, francese e inglese. Citando un personaggio che ha interpretato in un film dice che il problema del Quebec è mettere d'accordo queste identità, con in più la presenza dei nativi, le "first nation" presenti prima dell'arrivo di Colombo. Perché il Canada è un crogiolo di culture e identità vastissimo, che dopo gli italiani ha visto arrivare i maghrebini, gli antillesi e i sudamericani».

Quaregna però non si ferma a raccontare solo la storia di un'emigrazione italiana ma va a indagare i cortocircuiti più che bizzarri che hanno portato i compatrioti a legare con i “nativi” Innu, antichi abitanti di quelle terre. «In quella zona mineraria i primi abitanti erano loro. Con i miei documentari mi sono occupato per decenni di autoctoni, ed è lavorando con loro che mi sono imbattuto negli italiani: è incredibile come questi ultimi abbiano trovato proprio negli Innu uno sguardo complice e amichevole». Una complicità tutta speciale fatta anche di contaminazioni culinarie e musicali. Il film è dunque una riflessione sull'identità di chi che ha saputo adattarsi a una nuova vita, «attivando nuove radici, senza che nessuno li tacciasse come invasori».

«Verso che scenari andiamo incontro? Non sono ottimista - puntualizza l'autore - perché so che la politica della semplicità e degli slogan fa più presa della complessità. È un momento terribile: sono stato attaccato anche per questo film. "Quando farai un film sui rimpatri?", mi hanno chiesto. Il problema andrebbe affrontato in primo luogo a livello di scelte economiche. Milioni di persone bussano alle porte dei paesi occidentali, vittime di una globalizzazione attuata sul piano della finanza e non su quello della cultura e della politica, e aleggia lo spettro della paura del diverso, dell’invasore. Ma gli esseri umani non hanno ragioni di essere xenofobi. Le società mal governate, invece, possono esserlo».



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