Milagros Branca e il bimbo nascosto nell’ulivo dalla Puglia alle mille luci di Hollywood

la recensione
Giovanna Pastega
“Nennella non sapeva che giorno fosse nato il suo bambino. Nel tempo, aveva fatto di tutto per cercare di dare una data al giorno in cui aveva dato alla luce il suo primo e unico figlio, tanto che se ne era inventata una: il 31 aprile 1927, ignorando che quel giorno nemmeno esistesse”. Così ha inizio “Storia di Uliviero” (Baldini e Castoldi, Milano 2020, euro 18, pag. 400), il nuovo romanzo di Milagros Branca, eclettica discendente della celebre famiglia milanese del Fernet, che dopo tre mariti e due figli ha dato forma alle sue passioni di gioventù: fotografare e scrivere.
Alla sua seconda prova letteraria, dopo il romanzo “Conseguenze d’amore” del 2010, “Accidental Poetry” un libro tutto realizzato con i clic di un iPhone e un blog curato insieme alla figlia Olimpia (avuta dall’interior design Piero Castellini), l’autrice questa volta ha voluto misurarsi con un romanzo corale, una storia nella storia, che riesce ad incastonare, proprio come il 31 aprile inventato dalla protagonista femminile, una trama di fantasia in un fitto intreccio di eventi storicamente reali. Ne esce una sorta di grande affresco del ‘900, raccontato con leggerezza e note di intensità attraverso le vite straordinarie dei personaggi del romanzo. Il secolo “veloce” con le sue “rivoluzioni” culturali e sociali, viene così attraversato per scatti sovrapposti e piani temporali sfalsati che si inseguono ricostruendo assieme alla storia dei protagonisti anche la storia del nostro paese.
Un racconto polifonico, quasi visivo, che narra la vita straordinaria di un bambino nato nella Puglia del primo ‘900 dall’amore furtivo tra la figlia di un mezzadro e il rampollo di un barone. Nascosto dalla madre in una grande pianta d’ulivo, per sottrarlo alle ire paterne, il bambino verrà “rubato” per caso insieme all’albero e infine trasportato nelle Americhe, dove un ricco proprietario terriero di origini italiane lo adotterà: da qui la storia prende il volo. «Mi piaceva – spiega l’autrice - l’idea di questo bambino che viene trasportato nell'incavo di un albero verso un nuovo destino. A darmi lo spunto un amico di mia figlia che tanti anni fa mi raccontò di suo nonno salito per caso da piccolo su un furgoncino in Cecenia e poi trasportato molto lontano dal suo paese. Il conducente, ignaro, decise di adottarlo».
“Storia di Uliviero” è un romanzo in continuo movimento che trasporta il lettore dalle atmosfere cittadine, intellettuali e un po’ modaiole di Venezia, Firenze e Roma alla natura intensa e profonda della Puglia, fino ai ritmi frenetici di New York e Los Angeles, dove arte, fotografia e cinema trovano il loro volto contemporaneo e innovatore. Ecco allora diventare parte della trama Marylin Monroe, Sofia Loren, Gregory Peck, Jackson Pollock, Robert Rauschenberg, Horst P.Horst.
«In questo romanzo c’è molto di me – spiega Milagros Branca - c’è il mio amore per i viaggi, per la fotografia e soprattutto per l’arte, che ha sempre fatto parte della mia vita sin da piccola, quando mio padre mi portava al museo di Brera. Anche il mio primo marito, per metà triestino (la nonna era una Modiano), è sempre stato un appassionato d’arte: fu lui a farmi scoprire artisti, come Keith Haring. Bruno Alfieri, il noto critico d’arte ed editore che pubblicò tra l’altro il catalogo della collezione di Peggy Guggenheim esposta nel 1947 alla Biennale, era invece mio zio. Spesso andavo a casa sua a Venezia e sicuramente da bambina devo aver incrociato più volte anche Peggy, che nel mio romanzo è una figura centrale, una mecenate dell’arte che contribuì insieme ad altre grandi donne di quel periodo, come Irene Brin e Palma Bucarelli, a lanciare tutti i più grandi artisti del ‘900. Volevo dare onore alla grandezza di queste donne».
“Storia di Ulivero” è l’epopea di un mondo in fermento che si apre al nuovo sia nella cultura che nella società. Non a caso tra i tanti temi che affiorano nella storia, quello della omosessualità, che proprio in questo secolo inizia a creare la propria identità culturale e sociale, è particolarmente sentito.
«È un romanzo sul cambiamento, sulla rinascita – spiega l’autrice – ma anche sul destino. Volevo parlare di questo e della speranza. Sarebbe fondamentale parlarne anche ora».
L’autrice ha voluto dedicare il libro al padre di suo figlio, il celebre stilista delle pellicce Carlo Tivoli, morto di Covid, decidendo di devolvere parte del ricavato a “Sempre con Voi”, il fondo creato da Diego Della Valle per le famiglie del personale sanitario morto nella lotta contro il virus.
«Durante il lockdown – spiega - ho scritto molto. È già a buon punto il seguito di questa storia. Riprenderà esattamente da dove è finita. Titolo provvisorio, “Il silenzio è il più bel rumore che ci sia». —
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