Mogol: «La cultura popolare muore se la gente segue soltanto le mode»

PORDENONE. 80 anni vissuti nel quasi totale anonimato, celando un'identità che dal 2006 si fa tanto pressante da richiederne il riconoscimento. Giulio Rapetti, in arte Mogol, lascia la vita di grande autore, definito "paroliere" in Italia, "lyric writer" nel mondo anglosassone, sulle pagine di "Giulio Rapetti Mogol. Il mio mestiere è vivere la vita", l'autobiografia appena edita da Rizzoli e presentata ieri sera da Edoardo Vigna sul palco del “Verdi” in chiusura di pordenonelegge. Una vita fatta di passioni e grande impegno, per dare corpo a quella esigenza fanciullesca di «sopravvivere e trovare un senso, più che un obiettivo a cui tendere, all'iperattività che mi ha sempre caratterizzato».
Determinato e sereno nella sua autoanalisi: «La ricchezza della vita dipende dalla disponibilità a perseguire le proprie passioni. I giovani devono vivere e osservare, apprendere più cose possibile. Da quando sono nato ho difeso la mia libertà come il più grande patrimonio della vita. Ho sempre rifiutato di fare fiction perché la vita è sincerità e autenticità. Ho partecipato a “X Factor” il tempo necessario per capire che una scuola di musica è altro da uno show. Bisogna essere credibili e autorevoli, lo spettacolo non può sostituire l'impegno e la serietà. Il Cet (Centro Europeo Toscolano), la mia modernissima scuola per autori, musicisti e cantanti, è la migliore d'Europa proprio per questo. Con essa restituisco all'arte tutto l'affetto che mi ha dato e lotto affinché la cultura popolare non muoia, ma sia celebrata da professionisti e salvaguardata dalla gente che seguendo la moda ne ha decretato il crollo».
Non svela il vero motivo del divorzio con Lucio Battisti, ma parla del compagno di successi con ammirazione e affetto: «Lui era il rappresentante italiano della musica dei Beatles e le major britanniche lo corteggiavano perché facesse il grande debutto nel panorama internazionale. Non ha colto l'attimo o forse non voleva rischiare, e in quella occasione mi misi inutilmente in ginocchio. Ci siamo separati per i compensi dei diritti d'autore, anche se io ai soldi non ho mai tenuto. Ai principi sì, per quelli sono disposto a dare la vita. Fatto sta che Battisti non mi richiamò più».
Francesca Pessotto
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