Mussolini scrisse dalla trincea «Arriveremo fino a Trieste»

di Pietro Spirito
«O duino mangia i bersaglieri, o i bersaglieri mangiano Duino! Ore 10 di sera. Mentre scrivo, i nostri cannoni urlano senza tregua. Sulle quote è un bagliore di raggi e proiettori. Non so come riassumere le impressioni tulmutuose di questa prima giornata di trincea sul Carso. Sono profonde, complesse. Qui la guerra si presenta nel suo aspetto grandioso di cataclisma umano. Qui, si ha le certezza che l’Italia passerà. Arriverà a Trieste e oltre».
Parole queste - per altro poco profetiche: l’Italia non passò - del bersagliere Benito Mussolini, partito volontario per il fronte nel settembre del 1915, promosso caporale nel marzo del 1916, quindi caporal maggiore nel ’17, ferito dalle stesse bombe italiane durante un’esercitazione nel febbraio dello stesso anno, congedato infine nel 1919 dopo una lunga convalescenza e due licenze. Durante quel periodo, dalla fine del dicembre 1915 al 13 febbraio 1917, Mussolini tenne un diario di guerra che veniva pubblicato di volta in volta sul “Popolo d’Italia”, da lui fondato e diretto, e da quelle pagine l’ex socialista antimiltarista ora diventato intervenista e nazionalista convinto iniziò a costruire il suo mito da “Duce”.
Il “Diario” venne poi pubblicato - edulcorato e rivisto - in volume nel 1923, in pieno fascismo, ebbe varie ristampe, sparì praticamente dalla circolazione negli anni dell’alleanza con Hitler (c’erano giudizi troppo severi e sprezzanti nei confronti di austriaci e tedeschi) e poi tornò a circolare tra i documenti storici che riguardano vita e vicende di Mussolini. Ora la Libreria Editrice Goriziana ne ripropone una nuova, bella edizione, “Giornale di guerra 1915-1917 - Alto Isonzo - Carnia- Carso” (pagg. 217, euro 22,00), corredata da foto e facsimili (due belle vedute generali del Monte Ermada e della zona del Monte Rombon). L’edizione è stata condotta sugli originali pubblicati dal “Popolo d’Italia” e curata dallo storico Mimmo Franzinelli che ha effettuato un’attenta analisi del Diario, confrontandolo con la corrispondenza privata del futuro Duce nello stesso periodo. Il risultato è un - per certi versi - sorprendente ritratto di Mussolini, che illustra bene come il caporal maggiore dei bersaglieri usasse le sue “cronache” come potente arma politica. E soprattutto quanto fosse influenta già allora la sua voce, tanto da riuscire a bloccare, lui semplice sottufficiale (per altro sempre mal visto dalla “casta militare” che lo considerava un pericoloso sovversivo e gli negò l’accesso al corso per allievi ufficilai), la nomina a comandante di corpo d’armata di un alto ufficiale, il generale Paolo Spingardi, ministro giolittiano della Guerra durante la campagna di Libia, quando Mussolini era stato condannato a un anno per “sedizione antimilitarista”.
Insomma è personaggio doppio e triplo quello che emerge dalla pagine del “Diario” curato da Franzinelli: un Mussolini sprezzante e offensivo con gli ex amici socialisti e soprattutto con i nemici tedeschi e con gli slavi, fino ad arrivare ad espressioni razziste, un Mussolini attento a usare i commilitoni delle trincee, che in privato disprezza, come una sorta di trampolino per la sua ascesa politica, e sempre pronto a dire peste e corna degli ufficiali nelle lettere private e a blandirli invece nella corrisponden. za pubblica.
«Mussolini - spiega Franzinelli - entra in guerra e non ha più il punto di riferimento del partito Socialista con il quale ha rotto e quindi deve trovare una nuova linea politica e un nuovo ceto cui fare riferimento e lo individua tra i soldati. Peccato che quegli stesso soldati e commilitoni li disprezzi, nella corrispondenza privata, mentre sul suo giornale li blandisce».
Altro particolare poco noto e che emerge dal confronto tra quel che il futuro Duce scriveva sul giornale e quel che confida in privato è la rabbia che lo colse quando venne respinto dal corso ufficiali. «Mussolini sfuma e minimizza nel testo rivisto e censurato per il volume del '23 - spiega Franzinelli - sul fatto di non essere riuscito a divenire ufficiale. E invece la nomina a semplice caporale, decisa dai suoi superiori dopo che il Governo, che comunque diffidava di lui, lo aveva praticamente cacciato dal corso ufficiali, in privato la prese come un affronto intollerabile, visto che si vedeva già come condottiero. Tuttavia, come costantemente faceva, usò un doppio binario tra pubblico e privato». Atteggiamento che fu, all’inizio, la sua fortuna politica.
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