Narciso, innamorato di se stesso il primo influencer della storia
“Specchio delle mie brame” di Simon Blackburn (Carbonio, pagg. 198, euro 16,50) non è un excursus sulla vanità femminile che parte dalla celebre invocazione della strega di Biancaneve nella favola dei fratelli Grimm. Il primo a specchiarsi è stato un giovane: Narciso. E partendo dal suo mito, narrato da Ovidio nelle Metamorfosi, il filosofo inglese indaga sui Pregi e difetti del narcisismo, come recita il sottotitolo, rivisitando il pensiero di filosofi come Platone, Aristotele, Hume, Kant, Nietzsche.
Oggi l’ansia di autoaffermazione spesso non è stimolo allo sviluppo di un’autentica soggettività, ma di un’immagine creata dai media o dai social. L’egoista per antonomasia è l’influencer, che si affida allo smartphone per scattare soprattutto foto di se stesso, convinto che la gente sia affascinata da cosa ha mangiato per colazione o dai luoghi in cui è stato. Sia Narciso che l’influencer vivono dell’infatuazione di sé, ma, mentre il primo infine lo capisce, muore per scoprire chi è e risorge trasformato in fiore, il secondo non vuole conoscersi e vive solo grazie all’immagine che gli altri con il loro apprezzamento gli rimandano. La fiducia in se stessi non è raggiungibile se ci si accontenta del plauso altrui, ma purtroppo in questa società dell’immagine abbiamo abbandonato il cogito ergo sum per l’appareo ergo sum, con il rischio che, se i riflettori si spengono, continuiamo a vivere ma ci sentiamo come morti. E c’è da morire quando si realizza di aver sprecato una vita imitando e impersonificando qualcun altro che era solo un’immagine in cui non potevamo specchiarci. Blackburn ne fa una questione di mancanza di valori, partendo dall’unica colpa che per gli antichi greci era davvero grave: l’hybris o superbia.
Se non si comprende bene il mito di Narciso e la profezia che fece alla sua nascita l’indovino Tiresia, non si comprenderà mai se stessi, tantomeno gli altri. Tiresia disse alla madre: “Vivrà finché non conoscerà se stesso”. Ciò sembrerebbe in contrasto con l’insegnamento greco “Conosci te stesso”, ma non è così. Perché Ovidio attraverso i suoi miti di metamorfosi ci insegna che vivere è trasformazione, la quale non si compie mai davvero senza una volontà di cambiamento. La differenza è tra rimanere in vita vivacchiando e vivere. Quando si conosce davvero la propria interiorità, si diventa una persona nuova, diversa: finisce una vita e comincia una nuova. Migliore, peggiore? Più vera, autentica, in sintonia con il nostro essere. —
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