Nei “Peccati di gola” tutta l’arte antisnella di Ave Ninchi
Nel ventennale della morte oggi a Roma un volume ricorda la vita quotidiana dell’attrice naturalizzata triestina

A due passi da Cinecittà, sulla Walk of Fame romana di via Tuscolana - il marciapiedi a forma di pellicola dove si passeggia, più o meno come a Los Angeles, sulle “stelle” del cinema italiano - uno dei primi nomi è quello di Ave Ninchi. La sua stella è a poca distanza da quelle di Aldo Fabrizi, Anna Magnani e Totò, i grandi dello schermo con cui Ave Ninchi aveva più lavorato, e con i quali agli inizi aveva condiviso quell’epoca d’oro in cui, nel dopoguerra, il variopinto mondo della rivista e dell’avanspettacolo emigrò verso il cinema. Un fenomeno importantissimo che fu lo spunto per i primi capolavori di Federico Fellini, e fu alla base della successiva grande commedia all’italiana.
A proprio a Roma, l’altra sua città adottiva, in occasione del ventennale della morte (10 novembre 1997) viene oggi presentato un affettuoso volumetto a lei dedicato,
“Peccati di gola. Insolito tributo ad Ave Ninchi” (ed. Ponte Sisto, pag. 129, 10 euro)
. Alla libreria Fahrenheit 451 in Campo de Fiori interverranno alle 18.30 l’autore
Ignazio Gori
, con l’unica figlia di Ave, Marina Ninchi, anche lei attrice, e la nipote Arianna Ninchi. Il contributo, che nasce dai ricordi di Marina sulla madre, riflette sul fatto che la grande (in tutti i sensi) Ave fosse un’icona davvero insolita, “un mito e un antimito insieme”. Ci si chiede: come poteva avere Ave Ninchi tanta popolarità con quella stazza, in una società sempre più votata alla forma fisica e alla magrezza? Così, al centro di “Peccati di gola” ecco le vicende quotidiane, descritte con pensieri e aforismi ora malinconici, ora grotteschi, di un’aspirante attrice “oversize”, che ha come mito e modello Ave Ninchi. Paradossalmente, questo snello libretto vuole essere un elogio di quell’antisnellezza di cui Ave è stata a lungo il più felice e compiaciuto simbolo nello spettacolo italiano, risposta gradita e ironicamente esagerata agli esagerati cliché di fitness della società odierna.
Anomala e popolare star dapprima del varietà, poi del neorealismo rosa, infine anche della radio e della tv, marchigiana di origine e nascita, Ave Ninchi si era trasferita a Trieste con la famiglia quando aveva solo sette mesi. Qui trascorse l’infanzia e l’adolescenza frequentando prima la scuola elementare in lingua tedesca e poi il liceo classico Dante. E qui volle venire ad abitare settantenne nell’ultimo periodo della sua vita, dal 1986 fino alla morte.
«Ho molto amato Trieste. L’ho amata fin da bambina come ‘la mia città», disse al “Piccolo” quando, ancora popolarissima, venne a vivere in un appartamento all’ultimo piano del bel palazzo neoclassico di via Battisti 18, sopra il Caffè San Marco, dalla cui terrazza godeva il panorama sui tetti di Trieste e fino al golfo. Negli ultimi anni diventò presidente dell’associazione “Armonia”, dedicata al teatro dialettale. Del resto proprio in questa città, da bambina, Ave Ninchi aveva scoperto il teatro andando a salutare in camerino lo zio, il grande attore Annibale, seduto davanti a uno specchio incorniciato da lampadine. La piccola trovò un pugnale, che si spaccò, ma lo zio Annibale le diede la prima lezione di teatro: «Non ti preoccupare: in teatro tutto è finto, ma deve sembrare vero», e rimise a posto i pezzi del pugnale, affascinando la piccola Ave. «Io farò teatro», disse. Il padre Umberto Ninchi (professore di latino e cugino dei noti attori Annibale e Carlo) durante la Grande guerra aveva a Trieste, in via Cologna, un’azienda di trasporti con cavalli da tiro che si chiamava Brugiapaglia, dal cognome della moglie. Vivevano in una bellissima casa in viale Miramare e d’estate andavano a Grado alle Ville Bianchi. Ma dopo la crisi del ’29 tutto si sfasciò, la famiglia fece ritorno nelle Marche, Ave lavorò come impiegata all’Ina a Pesaro. Poi ecco la svolta della sua vita a vent’anni, nel 1935, quando si iscrisse all’Accademia d’arte drammatica di Roma.
Ma come era giunta Ave a incarnare la fortunatissima icona dell’antisnellezza? Arrivata al cinema nel 1944, prossima ai trent’anni e con il fisico sempre più abbondante, l’occasione è il film-rivista “Circo equestre Za-Bum” diretto dallo scopritore di talenti Mario Mattoli, al fianco del suo partner più fedele Aldo Fabrizi. Con i neorealisti “L’onorevole Angelina” e “Vivere in pace”, diretti nel 1947 da Luigi Zampa, aggiunge al suo personaggio una più moderna caparbietà nel battersi per i propri diritti. Ma è con il neorealismo rosa, da “Domenica d’agosto” (1950) a “Guardie e Ladri” (1951), dove è sempre la moglie di Fabrizi, che diventa definitivamente la rassicurante casalinga della porta accanto.
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