Nel Diario di Jünger un terribile amore per la Grande guerra

La Leg pubblica i taccuini del filosofo tedesco e un saggio di Guido Alley sui massacri di Tolmino
Di Pietro Spirito

di PIETRO SPIRITO

«Mi sono fiondato verso gli inglesi. In poche frazioni di secondo si è svolta una scena terribile. Ho sparato a uno degli uomini in piena faccia. Lui è crollato con un urlo spavantosi...». È il 27 luglio del 1916, e il sottotenente Ernst Jünger racconta così, nei suoi taccuini, un’azione di pattugliamento a caccia di prigionieri nemici nei giorni della battaglia delle Somme. Nei confronti della guerra, si sa, lo scrittore e filosofo tedesco nutrì sempre un “terribile amore”, per dirla parafrasando una celebre opera di James Hillman, un’attrazione, una vera “possessione” animata da quella che appunto Hillman definisce «una pulsione primaria e ambivalente della nostra specie», un’«opera umana e un orrore inumano, e un amore che nessun altro amore è riuscito a vincere». Più che spinto dal nazionalismo e dal militarismo, Jünger (1895-1998) fu un convinto sostenitore della guerra quale componente essenziale e costante della dimensione umana, ed è in questo senso che va letto il suo “Diario di guerra - 1914-1918”, che le Leg, Libreria Editrice Goriziana, manda in libreria per la cura di Helmut Kiesel, nella traduzione di Francesca Sassi (pagg. 642, euro 28,00). Si tratta della raccolta integrale, per la prima volta tradotta in italiano, dei taccuini di guerra del controverso filosofo tedesco, che nel 1914, allo scoppio del primo conflitto mondiale si precipitò ad arruolarsi e a partire per il fronte - dove venne più volte ferito e decorato - «per non andare a scuola» e per vivere, come avrebbe scritto due anni dopo in uno dei suoi taccuini, una sorta di grande avventura dove «mettere continuamente in gioco la propria vita ha di per sé un grande fascino». Idea che Jünger avrebbe coltivato per tutta la vita. Perciò questi taccuini, trascritti e ordinati con metodo scientifico, sono uno straordinario documento che non solo ha valore di testimonianza sulla prima guerra mondiale (coprono l’intero arco temporale del conflitto), ma rappresentano il materiale da laboratorio su cui si formò un pensiero complesso ma assai rappresentativo del Ventesimo secolo: il laboratorio in cui maturarono opere come “Nelle tempeste d’acciaio”, “La lotta come esperienza interiore” o anche “Fuoco e sangue”, appena tradotto (a cura di Alessandra Iadiccio) e pubblicato da Guanda (pagg. 154, euro 16,00) editrice che ha in catalogo 23 opere del filosofo.

E ancora per la Libreria Editrice Goriziana esce un altro libro che offre uno sguardo più storicamente articolato su uno dei capitoli più atroci della Grande guerra, la carneficina lungo le sponde dell’Isonzo per la conquista di Tolmino. in “Tolmino 1915-16” (pagg. 183, euro 22,00), nuovo volume della ricca collana Bam di storia militare, Guido Alley porta il lettore a vedere da vicino i sanguinosi e inutili sforzi che i comandi italiani compirono dall’inizio delle ostilità e fino al marzo del 1916 per conquistare due modeste alture, le colline di Santa Maria e di Santa Lucia, in un’ansa dell’Isonzo subito a sud di Tolmino. Due collinette di fondamentale importanza strategica che le brigate Bergamo e Valtellina tentarono vanamente di espugnare, lasciando sul terreno non meno di 12mila morti. Con precisione documentale e narrativa Alley ripe. rcorre le scelte strategiche, gli scontri, le condizioni inumane di vita nelle trincee - tra congelamenti, pidocchi, cumuli di morti insepolti, epidemie di colera -, lasciando spesso la parola agli stessi combattenti attraverso diari e pubblicazioni.

E sono proprio le voci di questo soldati mandati al macello, i loro immediati pensieri di fronte all’orrore, ma anche le autorappresentazioni viziate dalla contingente retorica, a fungere da significativo contraltare al pensiero di Jünger, dando della guerra - di quella guerra in particolare - un’idea sufficientemente completa per far riflettere su quanto la coscienza di quell’immane tragedia sia parte fondante della coscienza europea, e sull’evidenza che non esiste, per dirla ancora una volta con Hillman, «una soluzione pratica alla guerra, perché la guerra non è un problema risolvibile con la mente pratica».

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