Nel tabù dell’incesto l’eterno conflitto fra autorità maschile e libertà femminile

Maria Serena Sapegno racconta in “Figlie del padre” l’evoluzione dell’emancipazione della donna 

Roberto Bertinetti

Gli antropologi hanno da tempo chiarito che nel rapporto tra padre e figlia e nel tabù dell’incesto risiedono i fondamentali momenti di emancipazione dallo stato di natura della storia dell’umanità. Il tema, sottolinea ora Maria Serena Sapegno in “Figlie del padre” (Feltrinelli, pagg. 253, Euro 20,00), è poi diventato un archetipo dell’intera letteratura occidentale, costantemente in primo piano, declinando in forma di tragedia il perenne conflitto tra la durezza dell’autorità maschile e l’ansia femminile di libertà. Le figlie sono presenti in ben ventuno opere di Shakespeare rivelando un persistente contrasto tra due coppie emblematiche: Lear e Cordelia a un estremo, Prospero e Miranda all’altro. «Il contributo di Shakespeare – osserva Sapegno – è davvero fondamentale in quanto, per qualità e quantità dell’intervento, rivela che siamo ormai a un cambio d’epoca. È iniziata la modernità, la denuncia degli eccessi del potere paterno, la debolezza dell’autorità, l’insufficienza degli stereotipi della figlia oblativa: emergono nuove figure femminili anche padri attenti al cambiamento in atto». Il nuovo modello di famiglia, precisa, trova spazio in Italia a partire dall’inizio del Settecento, mentre nei salotti illuministi si inizia a prendere coscienza dell’importanza cruciale dell’educazione delle ragazze e della loro autonomia economica.

Si tratta della scoperta che in seguito Virginia Woolf pone al centro di “Una stanza tutta per sé”, quando afferma che proprio allora le donne del ceto medio iniziarono a raccontare il punto di vista femminile. Gran parte delle eroine di quella stagione sono inglesi. La pioniera è Fanny Burney, i cui romanzi hanno per protagoniste giovani dal percorso di formazione avventuroso. A seguire la medesima strada è poi Jane Austen, grande ammiratrice proprio di Burney, alla quale si ispira a partire dalle prove adolescenziali. La struttura rivoluzionaria sottesa a “Orgoglio e pregiudizio” risiede in diversi elementi: il disinteresse del padre di Elizabeth per l’aspetto economico del matrimonio e il fatto che la stessa Elizabeth si decida a prendere l’iniziativa con Darcy spiegandogli le caratteristiche del suo carattere.

Sulla scena pubblica inglese compaiono in seguito le sorelle Brontë, orfane di madre, e l’irrequieta George Eliot, che grazie a scelte personali controcorrente trova il coraggio per irridere l’autorità genitoriale. In “Cime tempestose”, del 1847, Emily disegna la figura di Catherine, del tutto nuova nel suo anelito di libertà, cresciuta selvaggia in mezzo alla brughiera accanto all’altrettanto selvatico Heathcliff, introdotto in casa dal padre, costretta però ad una vita adulta imperniata su regole che prevedono un canonico matrimonio nel quale muore di parto, ormai debilitata fisicamente e psichicamente. Più tardi, in terra nordica, è Ibsen a spiazzare tutti in un momento in cui la famiglia è ritenuta il perno della società e la contestazione si fa strada un po’ alla volta. Nel 1879, infatti, Nora, protagonista del dramma, accusa il marito Helmer: «Siete stati davvero sommamente ingiusti nei miei confronti. Prima il babbo e poi subito dopo tu. Io sono stata la tua sposa-bambola come a casa ero la bambola-bambina di mio padre».

Sarà poi il femminismo a ridisegnare i legami parentali, proiettandoli sulla struttura profonda della società e aprendo interrogativi di fondo che non ammettono risposte individuali. Precisa Sapegno: «Improvvisamente il messaggio si capovolge perché il nemico non è più il padre, bensì la madre che pretende di imporsi come modello da replicare senza incertezze». È lo scontro documentato in “Pastorale americana” di Philip Roth, in cui si parla delle ribelli di una generazione di ragazze che non hanno voluto imitare le madri e nel contempo hanno sfidato i padri. La storia narrata da Roth segnala in maniera inequivoca che un’epoca è finita e un’altra sta ora nascendo, un’epoca in cui il rapporto tra padre e figlia potrà non basarsi più sulla cancellazione o sul rifiuto dei genitori. «Se è vero – conclude la studiosa – che il loro sguardo risulta determinante nell’accompagnare la figlia dalla fanciullezza all’età adulta, quello sguardo sta cercando infine la propria strada tra il troppo e il nulla». —



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