Nella città provvisoria di Franco Vegliani la libertà è un inganno

di ALESSANDRO MEZZENA LONA
Non era delle città invisibili che andava in cerca. No, Franco Vegliani preferiva raccontare i chiaroscuri della vita, la ricerca impossibile di un’identità. Come nelle malinconiche pagine della “Frontiera”, nell’inquieto confronto del “Processo a Volosca”, nella rivolta mancata della “Carta coperta”. Così, negli anni Settanta divisi tra una ricerca sfrenata della libertà e certe subdole tentazioni dittatoriali, lo scrittore nato a Trieste sul finire della Grande guerra si era messo a ragionare attorno a un mondo ideale. Perfetto, eppure inquietante. Cullato da un indubbio idealismo, ma al tempo stesso dominato da uno sfrenato cinismo.
Niente a che vedere, insomma, con “Le città invisibili” che Italo Calvino faceva uscire per Einaudi proprio nel 1972. Incantando il suo Kublai Kan con i racconti di un Marco Polo che creava per lui, a parole, un mondo sospeso tra la realtà e l’impossibile. Come l’imperatore dei tartari, Franco Vegliani faceva fatica a non leggere i segnali più inquietanti che arrivavano dall’Italia della strage di piazza Fontana, della battaglia di Valle Giulia, della strategia della tensione.
Per questo si mise a scrivere. Non il solito romanzo. Qualcosa di diverso. Un racconto “altro”, parallelo, che si facesse completare da una serie di allegati. Una sorta di dialogo filosofico tra due personaggi sospesi ai confini dell’universo, accompagnato dal documento costitutivo di un mondo non identificato. E dal manifesto che ne detta le linee guida.
Scrittore appartato, destinato a scivolare in fretta nell’oblio, se Sellerio non avesse ristampato più di vent’anni orsono i suoi capolavori “La frontiera” (portato sul grande schermo da Franco Giraldi con Giancarlo Giannini e Omero Antonutti) e “Processo a Volosca”, Franco Vegliani non è mai riuscito a pubblicare la sua “Città provvisoria”. Solo adesso, grazie alla tenacia della famiglia e all’intelligenza di Sara Vitali e Leonardo Castellucci della casa editrice Cinquesensi, questo multiforme progetto narrativo rimasto inedito arriva finalmente nelle librerie. A curare la prima edizione (pagg. 278, euro 15) è Patrizia C. Hansen, che all’autore morto nel luglio del 1982 a Malcesine, sul Lago di Garda, ha dedicato approfonditi studi.
Vegliani, come ha scritto Claudio Magris (più volte pronto a sottolineare il suo amore per questo autore di «grande e appartata intensità»), non ha paura di affondare nell’ombra. E non deve sconcertare il fatto che il protagonista della “Città provvisoria” si trovi sbalzato, senza troppi preamboli, in un luogo indefinito. Una misteriosa Kapra che «non è situata», anche se esiste lassù, da qualche parte ai confini dell’universo. Certo è che gli abitanti di quell’altrove considerano il nostro mondo, la vecchia Terra, un modello di convivenza ormai superato. E per questo hanno elaborato un manifesto e una costituzione, articolati in diciotto punti, che regolano la vita nei minimi particolari.
Se Kapra non è situata, è facile immaginare che il protagonista si troverà davanti a un mondo sconcertante. Dalla voce di Igor, l’accompagnatore che gli è stato assegnato, una sorta di Virgilio imperturbabile pronto a svelare al novello Dante tutti i segreti dell’altrove, il viaggiatore terrestre viene a scoprire che lì la tutela delle libertà individuali è totale. Anche se «le opinioni in genere, ivi comprese le opinioni politiche, sono in Kapra libere senza alcuna limitazione. Ritenendole prive di effetti, la legge non le tutela né le garantisce». E non è a caso se non si vedono anziani in giro per le strade: la vecchiaia è stata soppressa «perché non è utile».
Facile entusiasmarsi, per il protagonista, quando viene a scoprire che su quel pianeta non si lavora perché l’attività «è stata assegnata alle macchine». Anche se l’uso dei sistemi robotici applicati alla produzione viene tenuto celato «in quanto spettacolo privo di grazia». Più inquietante è sentire dalla voce di Igor che «chi non è felice non giova mai a una convivenza». Tocca ai sapienti di quel mondo decidere gli svaghi concessi e il modo di abbigliarsi. E ogni altro dettaglio che regoli la vita individuale e collettiva.
Dal mondo perfetto della “Città provvisoria”, dal sistema massificato che sembra nascere dai sogni più arditi degli anni Settanta, si esce con il fiato corto. E un senso fortissimo di claustrofobia. Perché il romanzo di Franco Vegliani si rivela, pagina dopo pagina, una delle profezie più inquietanti e coraggiose sul mondo futuro. Che potrebbe ancora toccarci in sorte.
alemezlo
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