Nella favola di “Rio 2096” c’è il Brasile in lotta contro il male del mondo

Mentre in Brasile la “febbre mundial” sale in attesa delle semifinali, in Italia arriva il primo lungometraggio del brasiliano Luiz Bolognesi “Rio 2096”, dopo aver trionfato l’anno scorso al Festival...
Di Beatrice Fiorentino

Mentre in Brasile la “febbre mundial” sale in attesa delle semifinali, in Italia arriva il primo lungometraggio del brasiliano Luiz Bolognesi “Rio 2096”, dopo aver trionfato l’anno scorso al Festival di Annecy, forse il più importante evento dedicato al cinema di animazione. Il film esce distribuito dalla GA&A nelle principali città italiane - Roma, Milano e Torino - ma anche a Trieste, al Cinema dei Fabbri, sala che in poco più di un anno è diventata un vero e proprio punto di riferimento per il cinema indipendente e di qualità.

“Rio 2096”, nella versione italiana, e “Una storia d’amore e furia” come recita il titolo nella versione originale, è ambientato in Brasile e racconta la vita di un uomo, prescelto dagli dei per combattere il male del mondo e farsi portatore di pace attraverso i secoli. La sua è un’avventura lunga seicento anni.

A ogni apparente morte il guerriero si trasforma in uccello e vola alla ricerca della bella Janaína, la donna che ama e che amerà in ogni epoca e tempo.

Si ripercorre la storia del Brasile, caratterizzata da secoli di lotte e dominazioni, scegliendo quattro momenti topici: il genocidio degli Indios Tupinamba nel 1500 per mano dei portoghesi, la schiavitù che ha caratterizzato gli anni del diciannovesimo secolo, la dittatura militare degli anni ’70 e una futuristica Rio de Janeiro del 2096, quando la guerra per l’acqua e un esasperato squilibrio sociale potrebbero essere all’ordine del giorno.

«Non è una cosa troppo lontana dalla realtà. Nei prossimi anni i problemi per l’acqua potrebbero non essere solo fantascienza». A esprimere questa preoccupazione è Manuela Mandler, triestina trapiantata in Brasile per amore al seguito del marito Fabiano, fondatore assieme al fratello Caio della produzione Gullane, che ha realizzato il film assieme alla Buriti Filmes. «In questo scenario futuro o futuribile - prosegue - l’Amazzonia è già scomparsa, i ricchi abitano sulle montagne mentre i poveri non si sa neppure dove siano. Il tema dell’acqua è diventato attuale perché i bacini acquiferi si stanno progressivamente abbassando. Ci sono piogge torrenziali in certe zone, ma totale assenza di precipitazioni in altre. E quindi il timore è molto concreto».

Manuela Mandler racconta la genesi del progetto al quale «Luiz Bolognesi ha cominciato a lavorare già sette anni fa. Lui è uno dei più importanti sceneggiatori brasiliani, abbiamo già lavorato insieme a “La terra degli uomini rossi-Birdwatcher” di Marco Bechis e anche alla sceneggiatura di “Amazonia”, passati entrambi alla Mostra del cinema di Venezia. Questa è la sua prima regia e ha espressamente voluto realizzare un film di animazione».

«Come sceneggiatore so che il mondo dell’animazione offre infinite possibilità dal punto di vista della narrazione - conferma Bolognesi -. Se avessi optato per un film in “live action” non sarebbe stato possibile scrivere la scena nella quale i Tupis e i Tupinambás si affrontano in guerra nel XIV secolo, né avrei potuto descrivere la scena di una Rio de Janeiro del futuro dove un’astronave sorvola la città. Sicuramente questo è il fattore principale per cui ho optato per l’animazione. Volevo raccontare il Brasile in modo da incuriosire i giovani e avvicinarli alla storia del nostro Paese, piena di amore e furia!».

Abeguar, questo il nome del protagonista del film, attraversa la storia e il tempo come un eroe rivoluzionario, un combattente che non esita a mettere in gioco la propria vita per la libertà, lottando sempre dalla parte degli oppressi. Il regista lo definisce «un personaggio unico, con una singolarità sia poetica che mitica nel cinema brasiliano», preoccupandosi anche del fatto che i giovani abbiano strumenti adeguati per conoscere la storia del loro Paese. «Vivere senza conoscere il passato, è come vivere nell’oscurità» afferma Abeguar in una delle prime sequenze, e il regista spiega: «Raccontiamo la storia del Brasile sulla base della mitologia Tupinambà, ma al tempo stesso umanizziamo il protagonista attraverso valori più contemporanei per creare empatia con gli spettatori. L’immortalità - prosegue - non è una sua scelta e può essere vista quasi come una punizione, il peso di essa è quasi insopportabile. Gli è stato imposto un destino glorioso senza che lui fosse pronto per affrontarlo. E’ un uomo sempre in lotta per i valori semplici, come la ricerca della felicità accanto alla sua donna, ma è costantemente ostacolato da eventi violenti. E’ un personaggio destinato a combattere con insistenza nel corso del tempo, anche senza sapere se alla fine ne uscirà vittorioso».

Accanto all’eroe c’è una donna, Janaína. «Lei è la sintesi della donna brasiliana - spiega Bolognesi -. Diversamente da Abeguar non è consapevole della sua immortalità e, quando muore, lei muore davvero. Nonostante tutto continua ad essere una combattente e sprona l’eroe nella sua battaglia quando lui è pronto a rinunciare, proprio come fanno le donne brasiliane».

Se ci si concede un viaggio nella fantasia e ci si lascia andare credendo alla favola di Abeguar, si potrebbe anche pensare che i murales che denunciano l’altra faccia dei mondiali, assai distante dallo sfavillio dei riflettori degli stadi, possano essere opera sua. I volti tristi dei bambini delle favelas, che si ritrovano nel piatto un pallone da calcio anziché cibo per mangiare.

«Il Brasile vive tutto sommato un buon momento - racconta la Mandler secondo la sua esperienza - ma ci sono ancora molte differenze tra le classi sociali. Gli anni di Lula hanno regalato stabilità politica e crescita economica, la fascia di povertà è diminuita molto, però alcuni problemi rimangono e il fatto che ci siano proteste in atto è il segnale di una presa di coscienza che va letto come un fatto positivo. Anche se la protesta è disordinata e male indirizzata. Nel film c’è una battuta in cui si dice: “C’è sempre qualcosa per cui combattere”. Luiz si sente vicino agli oppressi - continua - sente che il suo film dialoga bene con chi sta protestando in Brasile in questo momento, ma anche con chi si trova in condizioni simili altrove. Infatti “Rio” ha ricevuto un’ottima accoglienza in tutto il mondo. Ha partecipato a più di cinquanta festival internazionali (tra questi il Science+Fiction a Trieste, ndr) ed è andata bene ovunque».

Bolognesi e la Gullane sono già al lavoro su un nuovo progetto, come anticipa la produttrice: «Luiz sta lavorando al trattamento del prossimo film, anche questo di animazione. Il titolo provvisorio è “Viaggiatori” e tratta di un gruppo di bambini che abitano in diverse città del mondo, ma che grazie alle nuove tecnologie riescono a scambiarsi gli uni con gli altri per poter vivere realtà diverse e complementari. Ciò che si cerca di analizzare e di mettere in discussione è lo spazio a disposizione dell’infanzia nella società contemporanea».

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