Nelle centoventi immagini che fanno la Storia anche la camicia di Massimiliano fucilato

l’analisi
Perché una fotografia suscita il nostro interesse mentre un’altra ci lascia del tutto indifferenti? Dove nasce il significato che le diamo? E quanto importanti per noi sono le intenzioni e le motivazioni di chi ha fatto scattare l’otturatore per fermare una minima frazione di tempo e di vita sulla superficie sensibile? Pellicola o memoria digitale che sia.
A queste domande che accompagnano le immagini prodotte meccanicamente da almeno 180 anni, lo scrittore e docente David Campany, cerca di dare una risposta attraverso una galleria di 120 immagini presenti sulle pagine di un libro stampato di recente in modo esemplare dall’editore Giulio Einaudi in una tipografia – legatoria della Repubblica popolare cinese. Il volume - 264 pagine, 38 euro, carta patinata, copertina rigida cartonata – ha per titolo “Sulle fotografie”, mentre sulla copertina del libro originale il lingua inglese leggiamo “On Photography”. Un richiamo voluto ai celebri saggi di Susan Sontag. Il plurale che compare sulla copertina dell’edizione tradotta in italiano suggerisce quanto potremo osservare sfogliando le pagine del libro passando in rassegna le immagini realizzate da grandi autori ma anche da fotografi di cui si è perso il nome e la memoria. David Campany indica questi ultimi come “fotografi ignoti” ma al loro lavoro attinge a piene mani nella sua ricerca per spiegare che non è necessario chiamarsi Henri Cartier-Bresson, William Eggleston, Man Ray, Jacques Henri Lartigue, Alfred Stieglitz, Luigi Ghirri, Irving Penn, August Sander, per aver qualcosa da dire per poter essere presi in considerazione dai critici e dagli storici dell’immagine.
In effetti le fotografie di autori di cui si è perso il nome costituiscono una massa enorme e un problema affrontato più volte. Lo scrittore John Swarkowski- si legge nella succinta prefazione al volume- a chi gli chiedeva chi fosse il più grande fotografo del mondo senza esitazioni rispondeva: “un anonimo perché immagini straordinarie possono provenire da chiunque, in qualsiasi momento, in qualsiasi situazione. La fotografia è nella posizione ideale per sfruttare i doni offerti dal mondo che le sta davanti. Inoltre il mestiere della fotografia può essere appreso nel giro di qualche settimana, anche se poi servono molti anni per padroneggiarlo”.
Fin qui tutto chiaro o quasi, almeno secondo l’autore. Come dicevamo il libro può essere paragonato nella sua stesura a una galleria di immagini: sulle pagine di destra sono stampate le fotografie, su quelle di sinistra i brevi resoconti critici che le accompagnano. È evidente che tutte le 120 immagini e testi non possono trovare spazio e nemmeno citazione completa su una singola pagina di quotidiano. Ecco perché è stato necessario compiere una profonda selezione. Forse David Campany segretamente ha voluto sottolineare che “le fotografie confondono tanto quanto affascinano, nascondono tanto quanto rivelano, distolgono la nostra attenzione tanto quanto l’attraggano, sono delle comunicatrici imprevedibili”.
In questa “selezione” una grande attrazione suscita l’immagine circolare realizzata da Frederich S. Church a George Eastman - il fondatore della Kodak- a bordo del transatlantico “Gallia” in navigazione dagli Stati Uniti verso l’Inghilterra. Era il 1890 e George Eastman è ritratto con in mano la Box Brownie uscita sul mercato un anno prima. Il suo obiettivo proiettava un’immagine i cui angoli risultavano sfocati, da qui la necessità di usare solo l’area centrale del negativo, uno spazio circolare. Era venduta già carica con un rullo da 100 pose. Una volta esposta tutta la pellicola, l’intera macchina veniva spedita alla Kodak nei cui laboratori le immagini circolari del diametro di poco meno di 6,5 centimetri venivano stampare su carta rettangolare e rispedite al cliente.
Un’altra immagine della “galleria” suscita una macabra attenzione: è quella che il pittore e fotografo francese Francois Aubert, realizzò nel 1867 in Messico a Santiago de Queretaro. Lì il 15 maggio 1867 fu fucilato Massimiliano d’Asburgo dagli uomini del presidente Benito Juarez. Francois Aubert si riprometteva di fotografare l’esecuzione e gli uomini del plotone mentre facevano fuoco sul deposto imperatore. Gli fu impedito, ma il suo obiettivo riuscì a riprendere la camicia bianca indossata da Massimiliano. Fu fissata al telaio di legno di una porta, intrisa di sangue e con i fori dei proiettili ben visibili. L’otturatore scattò così come erano scattati i grilletti dei fucili.
Nelle pagine del volume è stampata anche una fotografia in cui compare Tina Modotti accanto ad alcune sue immagini esposte nella Biblioteca nazionale di Città del Messico nel 1929. L’autore è ignoto mentre si sa che la fotografa friulana
assieme agli amici che l’accompagnavano nella sua esperienza politica americana, aveva realizzato quella mostra dandole il titolo di “Prima esposizione fotografica rivoluzionaria” del Paese. Si sa anche dai resoconti giornalistici che tutte le immagini erano state montate su grandi fogli bianchi, un allestimento oggi usuale in tante gallerie d’arte. Il nome del fotografo al contrario si è perso nel vento. —
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