“Normal” di Adele Tulli una distribuzione triestina al Festival di Berlino

Nell’attesa di vedere il nuovo film di Claudio Giovannesi “La paranza dei bambini”, unico titolo italiano in gara quest’anno per l’Orso d’Oro a Berlino, il tricolore si mette in mostra nella sezione Panorama, quella più engagé del festival, la più sensibile e attenta ai temi politici e sociali. Già passati “Selfie” di Agostino Ferrente, che a partire da un caso di cronaca (l’uccisione “per errore” di un sedicenne nei quartieri difficili di Napoli, scambiato per un dissidente dalle forze dell’ordine) mette in atto un avvincente dialogo tra realtà e dispositivo cinematografico: un telefonino in modalità selfie, affidato alle mani di due giovani amici, Pietro e Alessandro, che attraverso lo schermo del cellulare dialogano con un territorio senza vie d’uscita, e “Dafne” di Federico Bondi, racconto di formazione che prende il titolo dal nome di una ragazza dall’inscalfibile ottimismo affetta dalla Sindrome di down.
Oggi, sempre in Panorama, in programma l’esordio di Michela Occhipinti “Il corpo della sposa”, mentre ieri è stato il momento dell’anteprima di “Normal”, documentario che porta la firma della figlia d’arte Adele Tulli (la madre è Serena Dandini) e che conta, nelle sue fila, anche la presenza della triestina Manuela Buono, distributrice internazionale del film con la compagnia “Slingshot”. “Normal” è un viaggio nello stereotipo di genere nell’Italia di oggi, in quelle piccole e apparentemente innocue abitudini quotidiane che giorno dopo giorno, anno dopo anno, secolo dopo secolo, hanno contribuito e ancora contribuiscono a radicalizzare le differenze tra universo maschile e femminile. I lobi bucati, la cura del corpo, assi da stiro giocattolo per le bambine, trapani di plastica e giochi di guerra per i bambini, e altre banalissime e universalmente accettate convenzioni sociali. «Nei miei precedenti film - spiega Tulli - ho già lavorato su temi relativi al genere e alla sessualità, scegliendo sempre protagonisti che riflettessero il punto di vista di chi si colloca ai margini delle convenzioni sociali dominanti. In questo lavoro volevo sperimentare un cambio di prospettiva, concentrandomi proprio su ciò che viene considerato convenzionale, normativo, “normale”. L’idea è di creare accostamenti che riescano a provocare un senso di straniamento e di sorpresa davanti allo spettacolo della “normalissima” realtà di tutti i giorni. “Normal” intende suscitare una riflessione sulle complesse dinamiche sociali attraverso cui costruiamo e abitiamo le nostre identità di genere». —
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