Opere e giorni in una “fattoria sociale”

Uscito il 4 marzo per “Bottega Errante Edizioni”, “L'albero capovolto. Le opere e i giorni in una Fattoria Sociale”, il nuovo libro del friulano Stefano Montello, musicista e scrittore, autore di testi per il gruppo musicale degli FLK, porta in epigrafe una citazione di Franco Basaglia, ma non è l'ennesimo romanzo sul disagio psichico.
A un anno dalla riedizione in italiano del “Manuâl critic pal ort” (Forum editrice, 2008, introduzione di Pierluigi Cappello), lo “scrittore contadino” - come lui stesso ama definirsi - racconta semplicemente la sua storia, un bilancio personale, profondo come un solco nella terra, tra il sé di prima e quello di ora, che presenterà domani alla Biblioteca Civica Joppi di Udine. Un azzardo trasformato nel 2010 in progetto col nome di "Fattoria Sociale Volpares", un'esperienza di agricoltura sociale per persone che presentano diverse forme di svantaggio o di fragilità psico-fisiche e sociali, di cui Montello è responsabile: «Non sono psicologo né educatore, tutto quello che faccio è insegnare loro il mestiere e la cultura della buona convivenza. Senza il loro lavoro la fattoria non sta in piedi». Diventato così «responsabile culturale e “colturale”, perché la parola cultura e la parola coltura hanno la stessa radice della parola culto, quindi dobbiamo far ridiventare la terra una cosa sacra» senza mai smettere i panni del contadino, Stefano è soprattutto una persona con una ricchezza umana e una profondità di pensiero sconfinate. Dalla terra ha imparato la pazienza e solidità, la gratitudine e l'attesa, e un sorriso capace di rischiarare qualunque nube; qualità che l'hanno fatto diventare il leader di una strampalata ed eccentrica armata, raffazzonata intorno ad una scoraggiante palude, come si presentava all'inizio dei tempi Volpares. Siamo a Palazzolo dello Stella, nella Bassa udinese, quando una catapecchia fatiscente e un pezzo di terra trasandato diventano esempio virtuoso di fattoria grazie al lavoro di ragazzi che da qui sono passati e tornati alla vita migliorati. Tanti caratteri, personaggi dipinti con delicatezza ed intensità, lievi nel loro passaggio sulle pagine come una folata di vento che a tratti scompiglia. Capitoli brevi che scorrono con ritmo fluido e piacevole, creando un racconto circolare che si chiude su se stesso, finendo laddove è iniziato; un punto d'arrivo che è nuova partenza che aspetta ancora di essere scritta.
Questo di Montello non è un romanzo, non nel senso strettamente narrativo, quanto una non-storia, una riflessione su quella "linea d'ombra" della vita che ci separa e unisce attraverso una cieca casualità, che può colpire chiunque in qualsiasi momento, spezzando la luce uniforme e dividendola in prismi accecanti e difformi. Una diversa prospettiva che “Al podea capitate anc’ a ti” (Federico Tavan), illuminando in maniera autentica gli alibi. Tre mesi di scrittura di getto e un anno di sedimentazione per trasferire in racconto, un po' surreale e a tratti metafisico, un'esperienza reale che «se non scritta correva rischio di non lasciare traccia e scomparire anche dalla memoria»
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