Palombi: «Il mio Trovatore è un titano»
Da stasera debutta l’opera di Verdi portata a Trieste dal Teatro nazionale sloveno di Maribor

TRIESTE. A distanza di nove anni dall’ultima messinscena, ritorna a Trieste “Il Trovatore” di Giuseppe Verdi che debutta stasera al Teatro Verdi – ore 20. 30 – nell’allestimento del Teatro Nazionale Sloveno di Maribor, con la regia di Filippo Tonon (sue anche scene e luci mentre i costumi sono di Cristina Aceti) e la direzione musicale di Francesco Pasqualetti. Secondo titolo della cosiddetta “trilogia popolare”, composto tra Rigoletto e Traviata, il soggetto del librettista Salvatore Cammarano si ispira all’omonimo romanzo di Antonio Garcia Gutierrez. Ambientato in Spagna all’inizio del quindicesimo secolo, confezionato in quattro atti e otto quadri, “Il Trovatore” racconta fiammeggianti passioni come l’amore, la gelosia, la vendetta, l’odio e la lussuria.
Manrico e il Conte di Luna, rivali in amore per la bella Leonora, si fronteggiano fino alla morte come nemici, senza sapere di essere, in realtà, fratelli. Rappresentato per la prima volta al teatro Apollo di Roma il 19 gennaio 1853, “Il Trovatore” raccolse un successo senza precedenti: il pubblico ne fu entusiasta e la critica lo definì un capolavoro, sottolineandone il meritato trionfo.
Sul palcoscenico triestino, da stasera fino a sabato 27 gennaio, in questa nuova edizione si esibiranno i tenori Antonello Palombi e Dario Prola nel ruolo del titolo, i soprani Marily Santoro e Ana Petricevic (Leonora), i baritoni Domenico Balzani e Stefano Meo (il Conte di Luna), i mezzosoprani Milijana Nikolic e Isabel De Paoli (Azucena), il basso Vladimir Sazdovski (Ferrando) e inoltre Momoko Nashitani/Rinako Hara (Ines), Andrea Schifaudo (Ruiz), Roberto Miani/Francesco Paccorini (un messo) e Fumiyuki Kato (un vecchio zingaro); maestro del Coro Francesca Tosi. Da sempre associato alla potenza del do di petto, il protagonista Manrico è un ruolo che richiede invece al cantante soprattutto la capacità di combinare la delicatezza e la raffinatezza con l’energia che contraddistinguono in egual maniera il personaggio, come sottolinea anche il tenore Antonello Palombi che non ama le cabalette «soprattutto quando ripetono le stesse parole. Per me l’opera è come un film che va avanti e ogni volta che la narrazione si ferma per una cabaletta è un piccolo dramma».
Allora, secondo lei, chi è Manrico?
«Questo è un ruolo molto controverso ossia il rischio più grande è quello di far diventare Manrico un bambino succube e vittima della madre ma per me non è affatto così. Lui è un uomo che affronta tutte le battaglie e per questo lo vedrei con molti segni sul viso, è un uomo vissuto che scopre la verità delle sue origini dal racconto di Azucena e questo è un momento scioccante, è un uomo che vive per la sua amata Leonora ma che non rinnegherà mai il suo amore per Azucena che considera veramente sua madre. In definitiva, Manrico e Azucena sono due titani che si incontrano, come Amneris e Radames».
Quale ritiene essere il momento musicale più bello?
«In generale, l’aria di per sé è un moto dell’anima, un pensiero intimo che delinea il carattere del personaggio e spesso può diventare un’esibizione gigionesca, come negli anni d’oro quando i cantanti tenevano le corone e gli acuti per una durata infinita, e questo non era un bel servizio per l’opera ma diventava un servizio solo a se stessi. Io sono per pulire, per sfrondare e ridurre il racconto all’essenzialità musicale e, quindi, bellissimi sono i recitativi, i duetti e i terzetti, cioè quando i personaggi parlano tra di loro e costruiscono la storia. In questo caso, per me il momento musicale più bello è il finale dell’opera, ovvero tutto il quarto atto, in cui la musica è davvero meravigliosa, come un’onda che lambisce tutti i personaggi».
C’è qualche personaggio a cui è legato in modo particolare?
«In questi anni ho interpretato molti ruoli e non ho sogni nel cassetto ma il ruolo del cuore è sicuramente Otello, che apprezzo per la sua grande umanità e in cui ritrovo alcuni aspetti del mio carattere come la suscettibilità e la lunaticità tipici del mio segno zodiacale che è il cancro, ma non la gelosia che non mi appartiene».
La sua carriera dura da più di vent’anni ma nel suo passato c’è anche una parentesi da carabiniere…
«È vero e dico che non c’è molta differenza tra le due professioni, perché come fine ultimo sia l’Arma dei Carabinieri che i cantanti lavorano per gli altri».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo
Leggi anche
Video