Paola Ramella, storia di Sergio ammazzato dall’odio politico

di ALESSANDRO MEZZENA LONA
Ci si aggrappava alla lezione della Resistenza. Si andava dicendo in giro che i partigiani, per liberare l’Italia, non avevano fatto sconti a nessuno. Non ai nazisti, né ai fascisti, e tantomeno a quelli che la pensavano come loro. Erano gli anni ’70 e anche chi, oggi, rabbrividisce soltanto a pensarlo, si scriveva sui muri e sui manifestini, si urlava nei cortei che «uccidere un fascista non è reato».
Dall’altra parte, nei gruppi che del fascismo facevano oggetto di nostalgia, non era certo il verbo della nonviolenza a fare proseliti. Anzi, i “cinesi”, i comunisti erano il bersaglio preferito del loro odio incontenibile. Odio, sia ben inteso, che azzerrava la possibilità di incontrarsi, di discutere. Di riconoscere nell’altro una persona. Così, qualsiasi “nemico” diventava un bersaglio mobile. Un fastidio da sprangare.
Nelle piazze, sulle strade, parecchi ragazzi sono rimasti feriti a morte. Uno di questi si chiamava Sergio Ramelli. Veniva da una famiglia cattolica, amava giocare a pallone nella squadra della parrocchia, studiava chimica industriale all’Itis Molinari di Milano. Si era avvicinato al Fronte della gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale, fino a diventarne fiduciario per la sua scuola.
La storia di Ramelli, uno dei delitti “politici” più brutali e vergognosi degli anni Settanta, rivive adesso in una graphic novel. Si intitola “Sergio Ramelli. Quando uccidere un fascista non era reato”, lo pubblica la Ferrogallico Editrice ()pagg. 142, euro 19). Verrà presentato sabato 6 maggio all’Antico Caffè e Libreria San Marco di Trieste in un incontro coordinato dal giornalista Francesco Cardella.
A scrivere la sceneggiatura è stato Marco Carucci, milanese, dirigente d’azienda, che si è cimentato per la prima volta con una storia a fumetti. La parte grafica, invece, la firma Paola Ramella, che i lettori triestini conoscono bene e apprezzano. Laureata in Giurisprudenza, docente di Diritto, da anni si dedica esclusivamente al disegno con ottimi risultati. Dalla sua storia che ha per protagonista la gigantessa Tergestea è stato tratto un cortometraggio, intitolato “Trieste sogna”, firmato da Carmelo Settembrino e presentato in anteprima al Festival Cortinemetraggio.
Per quasi dieci anni, il delitto Ramelli è rimasto avvolto nel mistero. Pronto per essere archiviato come «opera di ignoti» perché nessuno era venuto a capo della brutale aggressione. Poi, come racconta l’ex giudice istruttore e magistrato Guido Salvini nella prefazione alla graphic novel, «nel 1984 il fascicolo venne assegnato a me e al collega Maurizio Grigo, che nell’Ufficio istruzioni seguivamo le indagini sul terrorismo e sulle violenze politiche. Non sembravano esserci molte speranze di risolvere il caso... ma non lo archiviammo».
Le minacce a Ramelli erano cominciate già sui banchi di scuola. E quando lui, in classe, aveva scritto un tema in cui denunciava le violenze delle Brigate Rosse e l’omicidio di due padovani che, come colpa, avevano quella di essere militanti nel Movimento Sociale, allora qualcuno aveva preso una decisione: quel ragazzo andava fermato. Perché niente erano servite le intimidazioni. E poco successo avevano ottenuto anche spintoni, schiaffi, scritte minacciose nei suoi confronti.
Quel tema, sottratto al professore di Ramelli, venne letto attentamente e esposto all’albo della scuola. In una sorta di “processo politico” inscenato da chi non voleva quel fascista come vicino di banco, a Sergio dissero chiaramente che era il momento di cambiare aria. Ma a nulla era servita la decisione della sua famiglia di trasferirlo dal “Molinari” a un istituto privato. Perché il 13 marzo del 1975, un gruppo di persone era andato a cercarlo.
Lo avevano aspettato in via Paladini, poco lontano dalla sua abitazione di via Amadeo a Milano, dove viveva con i genitori e i fratelli. E quando lui era sceso dal motorino, lo avevano aggredito a colpi di chiave inglese. Spaccandogli la testa. Si sarebbe spento in un letto d’ospedale, dopo una lunga agonia, poco più di un mese dopo: il 29 aprile.
Sono passati quasi dieci anni prima che i giudici Salvini e Grigo, sgretolato piano piano il muro di omertà, riuscissero a individuare i nomi degli assassini. Tutti ex adolescenti che facevano parte del servizio d’ordine di Avanguardia Operaia di Città Studi. «Érano diventati ormai tutti medici, all’inizio della carriera - racconta Salvini - alcuni di loro appartenevano alla buona borghesia, uno era il fratello del segretario milanese di Magistratura Democratica». Alla fine, i sette del commando che aggredì Ramelli, e la ragazza che lo aveva pedinato, sono stati condannati per omicidio volontario.
Quello che rimane, e che la graphic novel racconta con grande forza, è l’orrore per un’Italia che ha sempre fatto finta di non vedere, di non sapere. E che ancora porta marchiata a fuoco la vergogna di un tempo in cui ammazzare chi la pensava in un altro modo era considerato un merito.
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