Paravidino, con “Souper” la corruzione è comica

«I meccanismi della nostra corruzione sono così antichi che ci si scrivevano sopra commedie nel primo Novecento facendoci grandi sghignazzate. Ecco la vera componente d’attualità». Sono parole che Fausto Paravidino lascia come note di regia sulla commedia “Souper” di Ferenc Molnàr, che debutta stasera alla Sala Bartoli del Politeama Rossetti, alle 21, quale nuova produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Ne sono interpreti Filippo Borghi, Adriano Braidotti, Federica De Benedittis, Ester Galazzi, Andrea Germani, Lara Komar, Riccardo Maranzana, Francesco Migliaccio, Maria Grazia Plos.
Messo in scena nella traduzione di Ada Salvatore e nell’adattamento dello stesso Paravidino, lo spettacolo si replica fino al 22 maggio.
«“Souper” - dice il regista - è una pièce interessante, minuscola, che sembra sia stata scritta adesso, non nel 1930. Mi piaceva aver a che fare con l’ambizione teatrale che c’è nel testo di vedere un po’ di gente sul palcoscenico e l’umiltà di raccontare una cosa assolutamente non pretenziosa, una storia che fila come una barzelletta. È un lusso poter fare questo tipo di teatro, che non si fa più. Di solito si vede il contrario. Si vede una persona da sola sul palcoscenico che racconta qualcosa di terribilmente pretenzioso. Invece a me piaceva questa semplicità».
Attore, regista e autore (il suo “Natura morta in un fosso” fu scelto dal Teatro Stabile Sloveno), Fausto Paravidino ha una sua compagnia teatrale, della quale faceva parte da cinque anni anche l’attrice Monica Samassa, originaria di Lignano, scomparsa lo scorso febbraio durante le prove per la ripresa dello spettacolo “I vicini”, venuto al Politeama Rossetti nella passata stagione. E con il Teatro Valle Occupato, a Roma, ha prodotto “Il macello di Giobbe”. «È stata una grossa impresa che probabilmente non avrà futuro. Abbiamo recitato soltanto all’estero, con l’eccezione di Genova. È così difficile fare teatro nel nostro Paese nel modo in cui piace a me, che faccio un po’ fatica a fare progetti italiani. Sto scrivendo una piccola pièce sull’immigrazione per il Royal Court di Londra, che mi commissiona spesso dei testi. Verrà messo in scena in giugno».
Proprio durante l’occupazione del Teatro Valle ha preso vita il laboratorio Crisi, che Paravidino gestisce da alcuni anni con l’obiettivo di ricollegare la formazione alla produzione. «Perché in teatro la massa di formazione è veramente abnorme rispetto alla produzione e alla fruizione. Sono più le persone che si iscrivono a un laboratorio teatrale, con l’ambizione di diventar famose, di quelle che comprano un biglietto a teatro. Questo si traduce in una specie di sfruttamento del divertimento, in una tangente sulla speranza. E alla fine questo stupido girar di soldi produce cattivo teatro. Un cattivo attore che recita in teatro o, peggio, al cinema o alla televisione, dove lo vede una buona parte del popolo italiano, fa dei danni grossi. La cattiva recitazione è un problema sociale, è veleno per la società».
Fra i progetti teatrali affrontati in passato da Paravidino, forse il più intenso è stato “Il diario di Mariapia”, dedicato alla madre, medico, morta di cancro a sessant’anni nel 2006. «È un diario reale che scriveva mia madre quand’è finita in ospedale privata di quasi tutte le sue facoltà e vivendo quindi in un mondo di sensazioni, in una specie di pappetta, di brodo primordiale emotivo, ma senza corpo e senza futuro». Su consiglio della sua oncologa fu aiutata a tenere un diario. «Cercava di trasmettere agli altri, a medici e pazienti, la straordinarietà anche terribile di questa esperienza. Se la prendeva con tutta la cultura, con tutto lo studio, con tutta la fatica che il senso del dovere ci impone per essere più intelligenti, quando invece avremmo potuto avere, diceva, una vita più calma, forse più contemplativa».
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