“Pelè: il re del calcio” si mostra uomo fragile

La vita dentro e fuori un campo di pallone. Netflix Original firmato da Ben Nicholas e David Tryhorn, “Pelè: il re del calcio” ci spiega perché Pelè è stato il più grande di tutti.
In bilico tra documentario e biopic, ripercorre le tappe salienti della sua vita e della sua carriera, dall’infanzia al ritiro dal calcio giocato, per raccontare l’uomo oltre il campione. Lui che in una stanza spoglia si racconta quasi fosse una confessione, riempiendo quelle quattro mura di ricordi e aneddoti.
Questo docufilm sportivo è un autoritratto celebrativo che chiama in causa anche un coro di voci, composto da colleghi, parenti e amici, ancora una volta allo scopo di fare incursione nel pubblico e nel privato, di mettere in scena un simbolo di emancipazione.
C’è un pezzo di storia del calcio e un pezzo di storia del Brasile, il tutto raccontato in modo classico, con tanto di supporto di materiali d’archivio e inediti.
Originale è la messa a nudo del campione, che “Pelè: il re del calcio” narra tra fragilità e debolezze, timori e dubbi, pressioni.
Tra i tanti temi, emerge così anche il senso di responsabilità, perché a volte lo sport non è un semplice gioco se capace di coinvolgerci tutti. Ed emergono i lati oscuri legati alla dittatura del proprio Paese. Forse il rimpianto di non aver mai preso una posizione.
L’idea di fondo è una sola: Pelè ha fatto di più per il Brasile giocando a calcio che se avesse fatto politica. Le sue gesta parlano da sole. Le sue ombre trasformano il mito in essere umano. —
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