Per “8 secondi” sullo Smartphone ci giochiamo il nostro futuro

Otto secondi. È questo il tempo di permanenza medio quando ci fermiamo davanti a un’opera d’arte esposta in un museo. Lo dice una ricerca della Tate Gallery di Londra, che spiega come, nell’era dell’iperconnessione, per quanto immortale un’opera d’arte esposta in un museo non cattura la nostra attenzione per più di otto secondi. “Poco più di un colpo d’occhio; il modo migliore per vedere tutto senza vedere niente”.
Parola di Lisa Iotti, giornalista e autrice di docufiction per Rai Tre e Sky, inviata di Presadiretta, che a quell’intervallo minimo di tempo ha dedicato un intero libro: “8 secondi” (Il Saggiatore, pagg. 242, euro 19), un lungo “Viaggio nell’era della distrazione”, come spiega il sottotitolo. Lisa Iotti, ospite di Scienza e virgola, presenterà il libro oggi, alle 17.30, all’Antico Caffè San Marco di via Battisti 18 a Trieste. Sarà l’occasione per sentire dalla sua voce dove porta questo tuffo dell’universo dell’iperconnessione, là dove fra Smartphone, Sms, WathsApp, Tik Tok, Instagram e compagnia cantante siamo ormai preda di un risucchio continuo che ci ruba attenzione, concentrazione, memoria, persino gli affetti. Un eccesso di allarmismo? Macché: “L’universo digitale - scrive Iotti - si sta espandendo, come quello fisico, e un giorno non avremo più prefissi per nominarlo. Ci mancheranno le parole e ci resterà solo la vertigine: a partire dal 2020 saranno generati ogni anno dati per 44 zettabyte, ovvero il numero 44 seguito da ventuno zeri (...) quaranta volte più delle stelle nelluniverso osservabile”. Sarà un problema, decisamente, non rimanere schiacciati da questo peso. Anzi lo è già. E per capire fino a che punto siamo schiavi di quella macchinetta da cui non ci separiamo mai e alla quale abbiamo affidato l’intero nostro mondo di relazioni, contatti e memorie, Lisa Iotti si è messa in viaggio andando a curiosare nei laboratori e nelle aziende in buona parte californiane, là dove nascono e s’inventano i social network. Lì l’autrice ha scoperto che, a cominciare da WhatsApp, ormai “siamo dentro un sistema irreversibile da cui non è più nemmeno ipotizzabile pensare di uscire”. Ci siamo talmente dentro che, con buonapace di quanti strillano in nome di gratuite libertà di espressione, nemmeno ci ricordiamo che “più resti dentro un sito e più cresce il conto in banca degli azionisti. Google, Facebook, Instagram, tutte le piattaforme fanno soldi vendendo la nostra attenzione a inserzionisti, che a loro volta cercheranno di venderci qualcosa che con buone probabilità compreremo”. Insomma siamo proni davanti alle nuove tecnologie. Letteralmente: stare chini a contemplare lo Smartphone influisce sul fisico, sull’umore e persino sul modo di pensare, e se è presto per parlare di mutazione genetica riguardo la postura, stare storti per i social di certo non fa bene. Che fare? Posto che la nostra dipendenza dall’iperconnessione ha le stesse caratteristiche di una relazione d’amore disfunzionale, l’unica via d’uscita è seguire i percorsi di guarigione validi per ogni dipendenza: “Dagli amori malati - conclude Iotti - si esce quando si diventa grandi. Quando ci si stanca di non avere il controllo della nostra vita. Quando torniamo ad abitarci e volerci bene. O semplicemente, quando non è più divertente”. —
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