Perlini, il filosofo che lottava per salvare l’arte dall’oblio

Venerdì alla Biblioteca statale Claudio Magris presenta la raccolta di saggi “Attraverso il nichilismo” dedicata al lavoro e al pensiero del docente triestino
Di Maria Cristina Vilardo
19th century --- Portrait of Georg Wilhelm Friedrich Hegel in His Office --- Image by © Stefano Bianchetti/CORBIS
19th century --- Portrait of Georg Wilhelm Friedrich Hegel in His Office --- Image by © Stefano Bianchetti/CORBIS

TRIESTE. Chiunque abbia scritto di lui ha racchiuso il suo carisma e il suo fervore intellettuale nel medesimo aggettivo: appassionato. Tito Perlini lo era come filosofo, come studioso di estetica, di storia dell’arte e di letteratura, di psicoanalisi e di sociologia, e come docente universitario.

Una mente profonda e affascinante, cui è dedicato il volume “Attraverso il nichilismo” (Saggi di teoria critica, estetica e critica letteraria, 40 euro), pubblicato da Aragno Editore. Verrà presentato venerdì, alle 18, alla Biblioteca Statale Stelio Crise (largo Papa Giovanni XXIII, 6), con un’introduzione di Claudio Magris e interventi di Gianni Contessi ed Enrico Cerasi, curatore del volume. Magris ha voluto rievocare nella prefazione quella parte «indissolubilmente fusa con l’amicizia, l’affetto, lo scambio di idee di risate di esperienze nelle chiacchierate, nelle passeggiate nella sosta in birreria o a cena a casa mia», scrivendo di aver perso con la morte Tito Perlini parte della sua intelligenza, della sua capacità «di capire il mondo e le sue trasformazioni politiche, sociali, morali, biologiche sempre più vertiginose». Cerasi, saggista a sua volta e docente a contratto di filosofia della religione all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, traccia un ampio profilo della sua figura e dei suoi scritti, tutti materia per una stimolante evoluzione del pensiero. Un volume corposo, quasi ottocento pagine, come del resto lo fu la tesi di laurea di Perlini sull’ironia in Thomas Mann, su “Doktor Faustus”, che, racconta Magris, era così grossa «da aver sfondato lo zaino in cui lo aveva messo il suo relatore Guido De Vescovi, l’amico di Slataper, portandosela in montagna». Nato a Trieste nel 1931 e qui morto nel 2013, il filosofo aveva conseguito la maturità al Liceo classico “Francesco Petrarca”.

Era compagno di classe del regista Franco Giraldi, e di cinema si interessò grazie a Tullio Kezich e a Callisto Cosulich. Insegnò al liceo a Milano, città da lui amata, ed estetica all’Università di Venezia.

«Perlini, - si legge sul risvolto di copertina - con implacabile lucidità, punta il dito sulla terribile devastazione di ogni valore che ormai da almeno un secolo stiamo attraversando». A farne le spese è soprattutto l’arte, sulla quale ragiona facendo perno sull’estetica di Hegel (vissuto a cavallo fra ‘700 e ‘800), «il filosofo della modernità, per eccellenza», perché «in Hegel tutto si apre, si spalanca, ma poi alla fine tutto tende a chiudersi in una costruzione perfetta a cerchio».

La modernità non è favorevole all’arte, l’ha resa marginale come se appartenesse a un irrevocabile passato, l’ha trasformata in bene culturale e la racchiude nei musei, rischia di soffocarla con la tecnologia, mentre un tempo l’arte viveva in mezzo alla comunità. Oppure la spettacolarizza, spostando l’attenzione dalla produzione alla fruizione. Potrebbe darsi, ipotizza Perlini, che l’arte «senza nemmeno accorgersi di morire, scompaia dolcemente, si dissolva nella tecnologia». E può darsi che subentri una mutazione antropologica «che ci renda ciechi nei confronti del passato». Una tendenza all’oblio totale, alla perdita di memoria. «L’ignoranza dei giovanissimi, - osserva Perlini - su quanto è avvenuto cinquant’anni fa è impressionante, è assolutamente impressionante». Ma tirando le somme, fra addizioni e sottrazioni, il risultato rimane col segno positivo.

Ed è Cerasi a evidenziarlo nelle battute conclusive del suo saggio. «Sia pure in modo negativo, - dice - dovendo sempre prendere atto dell’estremo pericolo che corre nell’attuale società amministrata, l’arte è ciò che, dando voce al dolore della vita offesa, è ancora capace di preservare la speranza di una vita vera. E forse è proprio questa l’ultima parola di Tito Perlini».

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