Pierluigi Cappello «Che grande lezione dalla Szymborska»

di MARY B: TOLUSSO
Prima ci sono stati sei anni di silenzio e di apparente quiete. Pierluigi Cappello ritorna ora ai suoi lettori con il suo ultimo titolo, dal timbro metaforico, "Stato di quiete" (Bur-Rizzoli pagg. 81, euro 12) che raccoglie l'opera in versi degli ultimi cinque anni e che verrà presentato domani a Udine nello Spazio Autori di LibrINsieme, alle 18, da Gian Mario Villalta e dal direttore del “Messaggero Veneto” Omar Monestier.
La quarta raccolta dell'autore è un canzoniere intimo e collettivo, com'è nelle sue corde, ma ha anche il sapore dell'evento, almeno a giudicare dall'introduzione firmata da Jovanotti, una vera e propria star del mondo pop: «Il nostro incontro è avvenuto in modo estremamente semplice - spiega Pierluigi Cappello -. Lorenzo è un mio lettore da diverso tempo e c'è stato un progressivo avvicinamento. Gli avevo inviato il mio libro dedicato all'infanzia, che aveva molto apprezzato, non ci siamo mai incontrati ma di tanto in tanto ci sentiamo».
Un connubio, quello tra musica e poesia, non certamente inedito, perché entrambe queste arti lavorano con la parola, anche se in generi diversi, ma con delle affinità. Cappello ha sempre offerto una lingua piuttosto chiara, di precise linearità semantiche ed evocative. "Stato di quiete" non fa eccezione, piega il linguaggio colloquiale al verso, soprattutto là dove il suo respiro si allunga, come nel poemetto "Colore", uno dei migliori testi della raccolta, dal sapore vagamente ungarettiano per quella consapevolezza lirica di solitudine, di un tempo che passa e trasforma.
Non è certo poeta-paroliere, Cappello, ha dalla sua un bagaglio critico che lo ha portato a dare parecchie lezioni sulla poesia, dalle Accademie alle piazze. Ciò nonostante non teme di compiere delle scelte azzardate, come la prefazione di un rappresentante dello starsystem, scelte che però vanno viste da una prospettiva che non si esaurisce nell'ambito filologico. «È da un po' che io vado in quella direzione, dalle stesse scelte lessicali di base per un'esigenza di chiarezza nella poesia. Naturalmente senza falsificare il messaggio, lasciando alla poesia l'ambiguità che le appartiene. Il mio è piuttosto un tentativo di rompere quell'anello che delega il genere a un circolo di 500, al massimo 1000 lettori. Con questo gesto rivendico con forza il fatto che la poesia può avere molto più pubblico».
Ed effettivamente la sua è una scelta frontale, decisa, che non troverà molti poeti d'accordo. Ma l'obiettivo di Cappello non pare proprio rivolto ai colleghi: «È un porsi frontalmente davanti alla società - dice - far capire che i poeti esistono e magari fanno anche delle cose interessanti». Con Jovanotti si è subito trovato d'accordo su questo punto e pare che il cantante sia un ottimo lettore. Una firma, la sua, che potrebbe diventare un buon veicolo di apertura perché la quinta musa trovi canali alternativi ben più ampi rispetto agli strumenti tradizionali. Versi che possono riparare il mondo, scrive Jovanotti nell'introduzione.
In quest'ultima raccolta, forse più che altrove, lo spirito "collettivo" di Cappello affonda radici su un terreno adeguato, lievemente meno consolatorio, quasi una resa dei conti su ciò che siamo e ciò che non possiamo, essere sempre negli altri, per esempio, "tutti insieme", sì, ma anche "soli". Così come non si può non apprezzare la lucida prensilità, benevola e scettica insieme di "Sala d'aspetto, ospedale", un testo in cui la misura di quell'essere in noi e negli altri è perfetta. Non c'è nessuna quiete in questo "Stato di quiete" apparente, gremito com'è di una forza metaforica che trae linfa proprio dalla materia e dalle sue leggi: «Il titolo prende spunto da una riflessione sul significato di immobilità, ma non in senso fisico. Piuttosto ci sono momenti nei quali l'immobilità è pura energia, pur mantenendo un tratto ambiguo».
Insomma, nessuno stato è ciò che appare in fondo, croce e delizia della stessa poesia, tesa com'è a cercare verità che non sono mai immobili, anche se per definizione la verità vorrebbe esserlo: «Non si sa mai se qualcosa è immobile perché priva di energie oppure perché è un nodo di forze così potenti che si annullano tra di loro, che poi in fondo è lo stato della nostra esistenza». In prima battuta il titolo va letto proprio basandosi sulle leggi della fisica. Poi ci sono molte implicazioni metaforiche: «Basti pensare alla nostra epoca dove si è invece esortati a muoversi». E ritornano alcuni maestri. C'è Ungaretti, Leopardi, alcuni rimandi alle tensioni liriche di Erba o di Fortini. Ma c'è anche Wislawa Szymborska, la sua lezione di chiarezza e verticalità: «Da cui ho tratto profitto - dice Cappello, lui che Szymborska l'ha conosciuta a Udine nel 2009 -. È stata una grande maestra per i poeti dell'Occidente. La sua forza risiede nella capacità di isolare un tema e chiarirlo nelle sue sfaccettature con un lessico il più chiaro e naturale possibile. Riesce a fare di un argomento una sorta di oggetto concreto che puoi prendere in mano e guardarlo da più prospettive».
L'incontro tra i due poeti è avvenuto a Udine nel 2009, in occasione del tour italiano della poetessa polacca. «Di lei mi hanno colpito fondamentalmente due cose. La prima è il suo sguardo luminoso, di un azzurro intoccato, occhi freschi, da bambina. In secondo luogo la sua grande generosità. Dobbiamo immaginarci una donna anziana, che ha viaggiato dalla Polonia all'Italia, tra l'altro era appena rientrata da un'altra conferenza a Bologna, eppure all'incontro di Udine, davanti a una fila di 300 persone che attendevano un suo autografo, lei non si è sottratta, ha accolto i fans uno a uno con un'attenzione per tutti, non ha lasciato trasparire neppure per un attimo la fatica. Come nella sua poesia, anche la sua persona ha questa grande capacità di leggerezza e profondità. Intorno ai poeti l'aria trema, l'aria vibra, non saprei come altro dirlo, e intorno a lei c'era proprio questa dimensione».
E l'aria vibra anche intorno a questo "Stato di quiete", una fermezza da occhio del ciclone, una lingua quasi priva di aggettivi perché la parola pulita centri il suo obiettivo. «Non sovrapporre l'ora di adesso / all'ora di buio e all'ora di consolazione», dice un verso di Cappello, c'è sempre uno strappo tra il bene e il male e tra il passato e il futuro. Noi siamo lì, in quella somma di passato e futuro per niente trascinato dalla memoria o da un'illusoria proiezione. Essere, appunto, nel presente. Anche se «si vive/appena sopra la superficie del sogno/e tutto accade qui».
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