Pierpaolo Luzzatto Fegiz il triestino che con la Doxa ha cambiato la società

la storia
È il 1945, e due uomini si stanno allontanando dall’isola di Canidole piccola, nel Quarnero, al comando di due barche a remi. Stanno scappando dalle truppe titine, cercano rifugio dall’altra parte dell’Adriatico, nell’Italia liberata. Sono due professori: il più giovane insegna botanica e si chiama Giuseppe Martinoli, l’altro è uno statistico che di lì a un anno diventerà il primo grande sondaggista italiano. A trent’anni dalla sua scomparsa, avvenuta l’11 agosto del 1989, l’eredità culturale che Pierpaolo Luzzatto Fegiz ha lasciato all’Italia e alla città di Trieste è sotto gli occhi di tutti. Non soltanto nei sondaggi d’opinione che quotidianamente riempiono i palinsesti televisivi, ma anche in quella scuola – oggi chiamata “Sezione di Studi in Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori” e fiore all’occhiello dell’ateneo triestino – che fondò nel 1953 all’interno della facoltà di Economia e Commercio da lui diretta, nella convinzione chiaroveggente che la conoscenza delle lingue straniere in futuro avrebbe assunto un’importanza sempre maggiore.
Nato a Trieste nel 1900, Luzzatto Fegiz ha vissuto il Ventesimo secolo con spirito pioneristico, da innovatore si direbbe oggi, in diversi ambiti della vita umana. Nelle scienze statistiche, perché fu il primo a portare in Italia dagli Stati Uniti la metodologia del sondaggio d’opinione su un campione rappresentativo di popolazione, fondando nel 1946 la Doxa. Quello stesso anno si occupò di un lavoro che avrebbe dato grande notorietà all’agenzia: la prima grossa indagine per sondare le opinioni del pubblico fu effettuata in occasione del referendum istituzionale che il 2 giugno pose fine alla monarchia. Ma Pierpaolo fu uno sperimentatore anche nello sport: alpinista come il padre Giuseppe, campione italiano di canottaggio nel ’25, fu tra i primi a mettersi un paio di sci ai piedi, segnando l’inizio di uno sport che in Italia avrebbe poi spopolato. «È sempre stato spericolato, anche in gioventù ne ha fatte di tutti i colori – ricorda la figlia Alice –. Era un uomo piuttosto egocentrico, ma per nulla egoista: era molto contento che noi ci divertissimo mentre lui lavorava». Figlio della cultura mitteleuropea di ceppo ebraico, Pierpaolo come i suoi fratelli era poliglotta (parlava italiano, tedesco, francese e inglese) e un grande appassionato di cultura classica: le sue letture da comodino contemplavano i grandi autori greci e latini e quando non voleva farsi capire dai figli piccoli dialogava con la moglie in tedesco o in inglese. Aveva sposato una donna straordinariamente forte, quell’Ivetta Tarabocchia, figlia di armatori lussignani, che pochi mesi dopo la partenza in barca del marito nel’45 si era trovata da sola a fronteggiare l’arrivo dei titini e a organizzare una rocambolesca fuga via mare, in barca a vela, verso Trieste, portando con sé i figli. «Era mia madre la grande skipper, è stata lei a insegnare a mio padre – racconta Alice –. Lui era più un teorico della navigazione, ma adorava andare in barca e alcuni dei ricordi più belli che ho sono legati proprio alle nostre giornate di pesca». Quanto all’educazione dei figli il fondatore della Doxa e accademico dei Lincei non fu propriamente un padre facile: «Non amava farci complimenti, perciò quando doveva dire qualcosa di positivo su di noi parlava con mia madre in lingua straniera, per non farci capire. Ma non ci ha mai spinto a seguire le sue orme: ha sempre voluto che ciascuno di noi scegliesse autonomamente la propria strada, tanto che poi nessuno ha preso in mano la Doxa e ho dovuto occuparmi della vendita della società». La figlia Marina, scomparsa nel 2011, è diventata guida turistica e insegnante, Alice giornalista come Mario, il più piccolo, critico musicale e saggista. «Quando ho iniziato a fare giornalismo mio padre è rimasto stupefatto: aveva sempre considerato i suoi figli poco interessati alla realtà – rammenta Alice –. Si è ricreduto però quando su un giornale romano è stata pubblicata una mia inchiesta: ho ricevuto un suo telegramma in cui mi diceva di essere commosso e orgoglioso di me». Per i figli non è stato semplice coltivare la propria autostima dinnanzi a codesto padre, ma senz’altro da lui hanno imparato a non avere paura di nulla: «Da bambini, per mettere alla prova il nostro coraggio, ci faceva fare una specie di caccia al tesoro notturna: seminava degli oggetti e ci incoraggiava a cercarli nel buio. E anche per insegnarmi a nuotare non usò un approcciò morbido: mi getto in acqua con i braccioli direttamente dal trampolino». Come gran parte dei genitori, Pierpaolo si ammorbidì poi con i nipoti: «Di lui ho un ricordo molto vivo legato ai fine settimana in cui tornava nella villa di via Rossetti dopo i suoi pellegrinaggi a Milano, dove aveva sede la Doxa, e a Roma, dove aveva la cattedra. Era un uomo come non ce ne sono più, uno degli ultimi rappresentanti della poliedrica cultura mitteleuropea e m’incoraggiò sempre a inseguire le mie passioni in piena autonomia», rammenta Andrea Segrè, preside della facoltà di Agraria dell’Università di Bologna e ideatore di Last Minute Market. «La sua scomparsa, nel’89, mise fine al mondo che lui aveva vissuto e raccontato con i suoi sondaggi: pochi mesi dopo crollò il Muro di Berlino. Spesso mi chiedo come l’avrebbe raccontata questa nuova Italia...». —
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