Quando Giorgio Strehler chiese anche a Guttuso di disegnare le sue scene

Capire lo spazio, sapere dove e come far muovere gli attori, creare l’ambiente adatto alla rappresentazione, perché ambiente e parole agite sono una cosa sola in teatro. Ogni grande regista sa che la scenografia “parla” e “recita” con gli attori, e Giorgio Strehler (1921-97) non era da meno. Triestino, nato in una famiglia dominata dalla passione per l’arte e la musica. Regista. Con la R maiuscola, come lui segnava nel suo curriculum, «… io so e non so perché lo faccio il teatro ma so che devo farlo…». Su di lui, un numero sterminato di pubblicazioni. Ma ora esce un libro che esplora un aspetto del suo lavoro non ancora indagato a fondo. Si intitola “Giorgio Strehler e i suoi scenografi”, a cura di Vittoria Crespi Morbio (Ed. Amici della Scala-Step Grafiche Parma, pagg. 300, euro 35,00, 300 ill., edizione italiano e inglese). Il libro verrà presentato domani a Milano, nel Ridotto Toscanini della Scala, nel corso di una manifestazione a invito promossa dagli Amici della Scala.
Perché, adesso, questo libro? Vittoria Crespi Morbio, l’autrice, spiega: «Dopo aver consultato montagne di libri e documenti, ho scoperto un aspetto di Strehler che non era mai stato considerato: il suo rapporto irrinunciabile con gli scenografi». Storica d’arte e studiosa di materia teatrale, autrice di oltre cento monografie di scenografi e registi teatrali edite per conto degli Amici della Scala – che quest’anno festeggiano i loro 40 anni– Vittoria Crespi ha passato due anni su questa ultima ricerca, girando il mondo. «È un percorso cronologico - spiega -, diviso in periodi precisi, dal 1943 al ’’97, anno della morte. Ogni spettacolo è documentato con bozzetti, immagini, foto di scena. Strehler aveva un metodo di lavoro singolare. Partiva da percezioni, embrioni di idee».
All’inizio faticava a procedere. Cercava soluzioni originali, qualcuno che desse corpo alle sue idee, alle sue visioni. Si rivolse a grandi pittori, pensando che un artista sarebbe stato in grado di intercettare le sue visioni. Si rivolse a Guttuso, a Leonor Fini...Con Fabrizio Clerici ebbe grande affinità di gusto. Ma i pittori non erano i collaboratori di cui aveva veramente bisogno, i linguaggi erano troppo distanti. Occorrevano invece esperti di teatro, che sapessero riempire gli spazi in scena. Il primo a collaborare con Strehler in modo costante e a rivitalizzare il suo lavoro fu Gianni Ratto, artista milanese di grande talento. Firmò moltissimi suoi spettacoli al Piccolo Teatro, Scala e Piccola Scala. Ma neppure Gianni Ratto fa “coppia storica” con Strehler. Anzi, è un nome addirittura sparito… «Sì - racconta Crespi Morbio -, nel 1953 Ratto “sparisce” in Brasile. Ma lascia l’invenzione del teatro “verticale”. Famosa la Traviata del ’48 alla Scala, con Margherita Carosio, dove Ratto progettò una scala che proiettava lo spazio verso l’alto: una novità».
Nel 1954 arriva Damiani (Luciano, da non confondersi con il regista Damiano Damiani) per carattere e come professionista l’esatto opposto di Ratto. Meditativo, sognatore, Damiani lavorava di notte al lume di candela. Impresse un carattere preciso al teatro di Strehler. «Con lui fu un vero binomio - dice la curatrice del libro -. In scena, usava molto il bianco. Pensiamo all’Anima buona di Sezuan, al Giardino dei ciliegi, alla Trilogia della villeggiatura… Damiani ideò anche un grande teatro per Trieste. Doveva essere uno spazio rivoluzionario, unico. Arrivò al progetto esecutivo poi, pare per motivi politici, tutto andò in fumo».
Il passaggio di consegne tra Damiani e il “definitivo” Ezio Frigerio avvenne, racconta ancora Crispi Morbio, «quasi per inerzia: Frigerio aveva iniziato come costumista di Damiani, poi si realizzò nella scenografia. Di nuovo una personalità opposta: tanto Damiani era astratto, di perfezione geometrica, tanto il mondo di Frigerio era realista, quotidiano, quasi tattile. Portò in scena pietre, mattoni, le famose colonne. Quello di Strehler-Frigerio fu un sodalizio storico. Fino all’ultimo».
Nel libro è pubblicata la lettera postuma che Ezio ha scritto a Giorgio. Dice tra l’altro: «…Parliamo di noi. Fu amore, fu amicizia, fu attaccamento morboso a questo nostro mestiere, probabilmente fu un po’ di tutto questo. (…) Prendersi, lasciarsi, a volte per lunghi periodi (…) ritrovarci, fino alla tua morte». Un rapporto conflittuale, con epiche sfuriate, rotture.
Gli anni Settanta segnarono un arresto nella attività di Strehler. Era consunto, non lavorava più. Eccessi, droga. La sua esuberante vita sentimentale non era mai riuscita a stabilire un equilibrio duraturo. Fu Sergio Escobar, neo direttore del Piccolo Teatro, a recuperare l’uomo e l’artista. Gli propose di inaugurare l’erigendo nuovo Piccolo Teatro di Milano con “Così fan tutte” di Mozart. Strehler accettò. Si mise al lavoro. Morì stroncato da un infarto la notte di Natale del 1997, a 76 anni. La sua regia incompiuta inaugurò la stagione 1998 del Teatro che aveva ora il suo nome: Piccolo Teatro Strehler. —
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