Quando le navi italiane erano gallerie d’arte viaggianti

di CRISTINA BORSATTI
Gli arazzi di Mario Sironi e di Giuseppe Capogrossi, le donne senza veli scolpite dal triestino Marcello Mascherini, i vetri di Roberto Aloi, le maniglie decorate di Adolfo Lucarini, gli acquarelli di Giorgio de Chirico. È una mostra sorprendente, “Arte sulle Motonavi. Il varo dell’Utopia”, allestita a Roma dalla Fondazione Fincantieri alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea e all’Auditorium Via Veneto – Spazio cultura di Fintecna, e curata da Gmg Progetto Cultura con il coordinamento, per la Galleria Nazionale, di Mariastella Margozzi.
Tanti tesori, letteralmente sbarcati dai più imponenti transatlantici italiani del dopoguerra, arredi che abbellivano i saloni delle sorelle maggiori delle attuali navi da crociera, ribattezzate come i più grandi geni italiani: Michelangelo, Leonardo Da Vinci, Raffaello. Una vera e propria collezione di opere d’arte che racconta, come nel pieno del boom economico, industria e arte si siano indissolubilmente legate. D’altronde, Fondazione Fincantieri nasce proprio con lo scopo di raccontare il connubio tra arte e impresa, con l’intento di salvaguardare e trasmettere il patrimonio artistico della cantieristica italiana.
Le sculture in bronzo vennero commissionate a Marcello Mascherini (per entrare a far parte di quella vera e propria galleria d’arte in mare che è stata la Leonardo Da Vinci) per decorare della sala da pranzo della prima classe In mostra, dell’artista, di origine pordenonese, nato a Udine ma vissuto a lungo a Trieste, ci sono sospese alla parete tre enormi sculture in bronzo: “La Notte”, “Fauno con gallo” e “Gioia di vivere”. E c’è il grande arazzo disegnato da Mario Sironi per il transatlantico Conte Biancamano (uno dei quattro rinnovati tra il 1948 e il 1949 presso i Cantieri Navali di Monfalcone, dopo la restituzione da parte degli Sati Uniti). La nave riprese il mare nel 1949 con il suo lussuoso allestimento, realizzato da oltre quaranta tra artisti e artigiani italiani. Così i vetri di Roberto Aloi, realizzati per la turbonave Michelangelo: una serie di vetri con decorazioni a canne rosse soffiate, utilizzati come appliques della nave, che campeggiano oggi in tutta la loro bellezza sulle pareti dell’Auditorium di Via Veneto.
La mostra, aperta al pubblico ad ingresso gratuito sino all’8 gennaio, è un viaggio, intellettuale, metaforico e concreto, attraverso oceani reali e immaginari, è esplorazione di un’epoca di rinascita e di forte crescita economica, si fa racconto di menti illuminate che hanno saputo legare economia e cultura, industria e arte. L’allestimento, curato da Sabrina Fiorito, parla di questo dialogo anche attraverso le copertine di “Civiltà delle Macchine”, rivista del gruppo industriale Finmeccanica. Un periodico avanguardistico, diretto da Leonardo Sinisgalli, piccolo miracolo di equilibrio formale tra scienza, tecnica e cultura umanistica. Capace di avviare, già a partire dalle sue preziose copertine, una riflessione sullo sviluppo industriale. Qui, le menti più brillanti del mondo hanno indagato le ricadute sociali della modernità.
Con forza è proprio da queste copertine che prende avvio l’Utopia della mostra capitolina, con il desiderio di sviluppare riflessioni che riattivino la capacità di trasferire il mondo dei numeri nella poesia, l’ingegneria nell’architettura e l’arte nella scienza. Riportare l’impresa italiana ad essere, come in passato, portavoce e veicolo di trasmissione di tutte le arti, inaugurando un nuovo sodalizio tra impresa e arte.
L’arte generata dall’industria è ovunque all’interno dell’allestimento. Appare in tutta la sua lucida essenza nei dieci acquarelli commissionati nel 1961 a Giorgio de Chrico per rappresentare i diversi settori del gruppo Iri. Nuovissima l’idea, nuovissima la realizzazione, che associava le varie attività produttive ai miti dell’antica Grecia. De Chirico accosta, ad esempio, gli aerei dell’Alitalia al cavallo alato Pegaso, il lavoro dei Ciclopi a quello dei costruttori di autostrade. Intravede nell’officina di Vulcano gli antenati della Finsider e della Finmeccanica, in Giasone e negli Argonauti i precursori della Fincantieri, nel busto di Minerva, circondato da libri, la scintilla di Edindustria, la casa editrice che ha curato le pubblicazioni dell’Iri. Un totale di dieci opere che da sole varrebbero la visita della mostra.
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