Quando le principesse d’Inghilterra furono “Le ospiti segrete” dell’Irlanda

John Banville nel nuovo libro edito da Guanda imbastisce un coinvolgente racconto di fantastoria

pietro spirito

Nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale, Giorgio VI d’Inghilterra, il re balbuziente, decise che le due figlie dovevano essere trasferite in un posto più sicuro di Londra, che presto sarebbe diventata bersaglio (dal 7 settembre 1940) di pesanti bombardamenti da parte della Luftwaffe, mentre lui e lady Elizabeth Bowes-Lyon sarebbero rimasti a Buckingham Palace, a Westminster, per essere vicini ai loro sudditi. Così, dopo aver in un primo momento ipotizzato e subito scartato il Canada (contraria lady Elizabeth, e troppo pericolosa la traversata dell’oceano infestato dai sottomarini nazisti) Elisabetta, l’attuale regina d’Inghilterra, che allora aveva 13 anni, e la sorella minore Margaret, destinata a una vita da bevitrice e fumatrice accanita, che ne aveva 10, furono spedite nel castello di Balmoral, in Scozia, dove rimasero fino al Natale del 1939. In seguito vennero spostate nella residenza di Sandringham, nella contea di Norfolk. Dal febbraio al maggio del 1940 le due principesse vissero nel Royal Lodge, a Windsor, e infine si stabilirono nel Castello, dove rimasero per buona parte dei successivi cinque anni, fino alla fine della guerra.

Fin qui la realtà storica. Ma agli scrittori, sempre in cerca di un corto circuito per far brillare le incongruenze della vita, spesso la realtà non basta. E allora baloccandosi intorno alla domanda “cosa sarebbe successo se...?” partono dalla realtà storica per indagare gli oscuri meandri del possibile. È quello che fa lo scrittore irlandese John Banville nel suo ultimo romanzo, “Le ospiti segrete” (Guanda, pagg. 332, euro 19), dove le giovani principesse prima di essere spedite in Scozia vengono mandate in Irlanda, a rifugiarsi dai sudditi ribelli, nel Paese che rimase neutrale durante il secondo conflitto mondiale (di fatto però l’Irlanda collaborò con gli Alleati e varie decine di migliaia di irlandesi si arruolarono come volontari nelle forza armate britanniche).

Il romanzo inizia dunque con le due principessine che si imbarcano su una scalcagnata motonave in gran segreto alla volta dell’Irlanda, per andare ospiti del duca di Edenmore, lontano parente della famiglia reale, in una vecchia e isolata dimora. Il governo irlandese non è particolarmente contento di tenere a balia Elizabeth e Margaret, ma la politica è politica, e l’operazione è affidata a una giovane e insicura agente dell’MI5, Celia Nashe, e al funzionario dell’ambasciata britannica Richard Lascelles. I due saranno affiancati, nella vasta e cupa dimora del duca, da un detective della Garda irlandese, il timido e disarmato Strafford. In più, a tutela delle altezze reali, nei boschi della tenuta ducale sarà dislocato uno sparuto drappello di soldati agli ordini del riluttante maggiore De Valera, figlio del capo del governo, nonché eroe del Fianna Fáil, Éamon de Valera. Le due bambine, che adesso hanno la falsa identità di Mary ed Ellen, si adattano loro malgrado alla noiosa routine di Edenmore.

La saggia Elizabeth e la turbolenta Margaret trascorrono le giornate tra un’ombrosa servitù, brumosi pomeriggi alla finestra, qualche passeggiata su cavalli indisciplinati e i sogni a occhi aperti di ogni adolescente. Finché la notizia che le due ragazzine ospiti del duca sono in realtà le principesse d’Inghilterra non arriva alle orecchie dei combattenti dell’Ira, che da Belfast mandano due agenti per fare un solo boccone delle ospiti segrete...

Banville è maestro della narrazione, imbattibile nella costruzione di ambienti e personaggi. Ha uno sguardo cinematografico, un’ironia sottile nel tratteggio dei caratteri, e soprattutto un’abilità luciferina nel creare prospettive articolate. E se anche siamo lontani dalle profondità di un capolavoro come “Il mare”, dietro le quinte della commedia brillante Banville in queste pagine affonda la penna nella terra instabile e zuppa di sangue dell’Irlanda, una terra divisa, frammentata, attraversata da odi antichi e stratificati, sempre all’ombra della Corona. È questo il nocciolo vero del romanzo: l’anima degli irlandesi, l’essere irlandese. L’identità. Come quella del detective Strafford, che di fronte ai guai in cui si sta per ficcare e alla gente che gli sta intorno, “percepiva la crudeltà di quelle antiche contese e dei mostruosi signori feudali che le avevano domate, ma non riusciva a immaginare di odiare la nazione o il popolo da cui erano venuti quei signori”. —

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