Quando sopravvivere all’infamia dei lager diventa una colpa a vita

le novità
L’ebrea triestina Ida Marcheria, deportata quattordicenne ad Auschwitz, aveva confidato nel 2009, due anni prima di morire: “io maledico il giorno che sono uscita dal lager. Non dovevo tornare. Non so gli altri, può darsi che sono felici, non lo so”. La discesa in quell’inferno ha lasciato nei sopravvissuti una vita di tormenti, rimorsi, sensi di colpa. Le voci di coloro che si sono salvati costituiscono una fonte indispensabile per ricostruire quell’indicibile tragedia. Camillo Brezzi ha raccolto le storie di alcuni deportati in “L’ultimo viaggio”(il Mulino, 175 pagg., 15 euro), in cui ripercorre le fasi iniziali della “soluzione finale”, l’arresto, il viaggio, l’arrivo alla banchina di Auschwitz. Da docente universitario Brezzi nota come la legge istitutiva del Giorno della memoria abbia messo in moto una particolare attenzione tra gli studenti, anche grazie alle capacità di molti insegnanti di connettere commemorazione, identità e lezione di storia. Molti hanno preso anche lo spunto per leggere la grande letteratura ebraica americana: Isaac Singer, Philip Roth, Bernard Malamud; ma accanto a quelle dei grandi ci sono altre voci raccontano l’Olocausto.
Aharon Appelfeld, nato nel 1932 in Bucovina e deportato in un campo di concentramento in Trasnistria, da cui riuscì a fuggire nascondendosi per tre anni nelle foreste, ha avuto una vita avventurosa come quella del protagonista di “L’immortale Bartfuss”(Guanda, 157 pagg., 16 euro). Anch’egli fuggiasco dai nazisti, contrabbandiere sulle coste italiane, e finalmente in salvo in Israele, dove è considerato una leggenda per essere sopravvissuto con cinquanta pallottole in corpo. La sua esistenza si trascina tra la riva di Giaffa e i bar dove siede taciturno e solitario, antieroe nostalgico di un passato che è stato una tragedia, ma incapace di costruirsi una nuova esistenza.
Analogo è il destino di Chaim Birkner, ebreo di Budapest che il padre è riuscito a mettere in salvo dai campi di sterminio facendolo fuggire a Trieste, da dove si è imbarcato per la Palestina. Adesso che è ultracentenario, viene intervistato dalla tv israeliana che gli pone la solita banale domanda: come si sente? Omer Meir Wellber, quarantenne direttore musicale del Teatro Massimo di Palermo e dal 2022 direttore della Volksoper di Vienna, ha fatto di questo vecchissimo sopravvissuto l’esempio di un uomo segnato dalla colpa di essersi salvato. Con “Storia vera e non vera di Chaim Birkner” (Sellerio, pagg.238, 14 euro) Wellber rivolge uno sguardo anche all’Israele di oggi, attraverso la decisione di Chaim di lasciare un paese sempre più estremista per tornare a vivere in Europa sulle tracce del suo passato.
Dopo i tre volumi in cui ha raccontato la “Storia degli ebrei italiani” e la “Grande Vienna ebraica” tra’800 e ’900, Riccardo Calimani si occupa di “Gli ebrei e la Germania. Storia di un legame forte e complesso” (Bollati Boringhieri, pagg.399, 16 euro). Presenza stabile e radicata fin dall’alto medioevo, gli ebrei sono stati una parte imprescindibile della cultura tedesca, in cui si sono integrati ancora più stabilmente a partire dal XIX secolo.
Calimani descrive i profili di personalità come Marx, Heine, Weber, Benjamin, Einstein e mette in rilievo, tra nascita dell’antisemitismo e repubblica di Weimar, quale è stato il contributo della cultura ebraica all’interno della storia tedesca ed europea. –
Riproduzione riservata © Il Piccolo